Sei pianeti Terra

Per star bene tutti, ci vorrebbero le risorse di sei Pianeti Terra: a dirlo è uno studio dell’Università di Leeds, da poco pubblicato sulla rivista Nature Sustainability. Lo studio ha analizzato il sistema economico di 151 Paesi per rilevare la sostenibilità dei loro sistemi economici, ed ha evidenziato che i ‘Paesi Occidentali’ – Italia compresa – utilizzano molte più risorse di quante ne dispongano: essendo quindi “non sostenibili’ in primo luogo in termini quantitativi. Mentre i Paesi ‘non Occidentali’ risultano a volte ‘sostenibili’, ma per il fatto di non fornire ai cittadini i livelli di cibo, igiene ed elettricità che sono propri dei Paesi ricchi.

Il risultato dello studio dell’Università di Leeds attualizza un tema ormai noto all’opinione pubblica dei ‘Paesi ricchi’: un tema presente nel dibattito sull’economia almeno dal 1972, da quando fu pubblicato il Rapporto sui limiti dello sviluppo commissionato al MIT dal Club di Roma, che per la prima volta evidenziò come le risorse del Pianeta non avrebbero potuto sostenere la crescita della popolazione mondiale combinata con la domanda di benessere. E non turba i sogni non solo perché, da allora, ‘metabolizzato’, ma anche perché viene ancora osservato dal punto di vista di una mentalità coloniale: che in fondo è quella che abbiamo ereditato dal tempo delle grandi scoperte del Cinquecento e del Seicento, e che è ancora saldamente radicata nell’immaginario europeo e nordamericano. Nel momento in cui occhi ‘civili’ e occhi ‘primitivi’ si osservarono per la prima volta, differenze e squilibri si fissarono per sempre, e la ‘povertà’ materiale dei non-Occidentali fornì alla mentalità mercantile dei conquistatori l’artificio ideologico – uno ‘stato di fatto’ della ‘differenza’ – necessario per l’accaparramento e lo sfruttamento delle risorse del Nuovo Mondo.

L’atteggiamento di indifferenza dell’Occidente per le disuguaglianze e per la povertà del Terzo Mondo è frutto di quella ‘innovazione ideologica’, ed è quello che non ci fa balzare sulla sedia al pensiero che di risorse non ce n’è per tutti.  In fondo, quello che ci dicono i ricercatori di Leeds non è un problema, visto che ‘da sempre’ il benessere è cosa nostra. Accade però che i Paesi poveri, attratti dal benessere materiale, pretendano ora la loro parte. La Cina, l’India e i Paesi emergenti più aggressivi divorano carne e petrolio. Comprano i nostri marchi. Occupano i nostri negozi. Dato che anche loro pretendono il nostro benessere, ma non ce n’è per tutti, l’ ‘equilibrio’ pre-globalizzazione, fondato sull’assunto ‘noi ricchi, loro no’, è saltato. Il modello non funziona più: anche perché, dal 1972, la popolazione mondiale, e soprattutto quella dei Paesi non-Occidentali, è quasi raddoppiata.

Dal momento che non disponiamo di altri cinque pianeti, le soluzioni possibili alla carenza di risorse necessarie per tutti, sono entro tre ipotesi. La prima: produrre di più. E’ possibile? Almeno in materia di energia, sì. Dal punto di vista scientifico, tecnologico ed economico, sulla potenzialità delle nuove risorse rinnovabili non ci sono più dubbi: a tirare il freno sono solo le strategie di mercato delle aziende dell’energia, non la scienza o la tecnica. Seconda ipotesi: livellare al basso le ‘pretese’ di benessere materiale, nostra e ‘loro’, e consumare di meno. Si può fare? Certo. Ma per noi costituisce un ostacolo psicologico non da poco. Quando il filosofo francese Latouche ha parlato di ‘decrescita’, ha colpito al cuore l’immaginario collettivo dell’Occidente e suscitato un’ondata di sdegno. In ogni caso, ci sono margini su cui lavorare: lo spreco impressionante di cibo in un mondo che ne produce a bizzeffe, ossessionato dal ‘food’, o la pletora di oggetti che ci circonda e ci invade l’esistenza. Terza ipotesi: recuperare dall’economia finanziaria le risorse che questa ha drenato e continua a drenare dalle famiglie e dalle aziende di tutto il mondo. Se rimesse in circolo, quelle risorse potrebbero sostenere il rilancio dell’economia dei Paesi poveri e contribuire a riequilibrare il benessere economico in tutto il mondo. E, ridotte, non potrebbero controllare l’economia reale.

Fra questi tre vertici c’è il territorio delle prossime decisioni per il futuro dell’Umanità. Naturalmente, c’è anche una quarta soluzione: mantenere attive le disuguaglianze, come dall’epoca delle grandi scoperte in poi. In realtà è il paradigma che stiamo seguendo, con l’Occidente che sta sacrificando al benessere di pochi suoi ‘eletti’ anche le sue ex-classi medie, livellate al basso attraverso la competizione con le masse immigrate. E’ un sistema che ha una fede di sopravvivere che è basata sulla fiducia nella possibilità di controllo della complessità – in questo umana – tramite la tecnologia: in tutto il mondo, i poveri non hanno il riso, ma hanno il telefonino. Ma la Storia insegna che si tratta di un modello destinato a sopravvivere ben poco.

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[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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