Un voto difficile

Domenica prossima si va a votare e mai, credo, è stato così difficile decidere a chi dare il proprio voto. Nella mia vita, ho visto una buona ventina di campagne elettorali ma mai, mai, una così sgangherata e confusa.

Il panorama è desolante. I partiti che si contendono il consenso sono, ciascuno per ragioni proprie, assai poco credibili e rassicuranti. Vediamoli insieme. La legislatura nata male nel 2013 è andata molto meno peggio di quanto temuto. In cinque anni ci sono stati solo tre governi, quasi un record per l’Italia. La situazione economico-finanziaria si è andata via via rasserenando, la sicurezza non è peggiorata, l’ultimo anno ha visto anche una riduzione dell’immigrazione, grazie a un Ministro di prim’ordine, Minniti. Sono state approvate leggi da tempo attese, passi in avanti sulla strada di una convivenza civile, come quella sulle unioni civili. Per fortuna non è andata avanti, quella sullo Jus soli, che è sbagliata alla radice e avrebbe aperto una ferita profonda nel nostro tessuto civile, e va riconosciuto al governo almeno il merito di non aver insistito. Non sono passate riforme costituzionali abborracciate e pasticcione, ed è meglio così. I problemi istituzionali restano aperti, in attesa che una Legislatura diversa li affronti nuovamente, ma  almeno non sono stati inflitti danni che poi sarebbero stati difficili e lenti da riparare.

Chi, come accade a me, il nostro Paese lo vive con passione ma lo guarda in un certo senso dal di fuori, dall’estero, ha l’impressione di una buona tenuta generale del sistema e di qualche progresso. Come non darne il merito alla forza che in questi cinque anni ha fatto da colonna portante, il PD, e ai successivi governi che lo hanno avuto come riferimento? Come non essere grati all’attuale Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, per la serietà e la compostezza con cui ha tenuto il timone nell’ultimo anno della Legislatura?

Se si parte da queste considerazioni, la risposta alla questione del voto parrebbe semplice: se il PD non ha mal governato, permettiamogli di continuare. Era un po’ quello che ci si aspettava dopo la vittoria democratica alle Europee, ai tempi dell’ottimismo prematuro di Matteo Renzi. Ma la sinistra  e lo stesso PD hanno fatto tutto quanto era possibile per screditarsi, e i sondaggi li condannano. Anche così, il PD resta un’opzione possibile ma, riconosciamolo, con una buona dose di perplessità.

Ma al di fuori di Gentiloni, dove sta il leader a cui affidarsi con qualche fiducia? Berlusconi, diventato ora la maschera impiastricciata di sé stesso? Il grande imbonitore, con le sue filastrocche stantie, disinvoltamente dimentico del disastro che aveva lasciato nel 2010? Salvini, allora? Quello che adesso giura da Primo Ministro col rosario in mano. Quello che dichiara “prima gli Italiani”, venendo da un partito che l’Italia voleva rinnegarla e dividerla? Quello che promette di farci uscire dall’Euro, cioè dalla sola garanzia di serietà e di ordine finanziario che abbiamo?

Di Maio, dunque? Pulitino, incravattato, perbenino, adesso vuole mostrarsi istituzionale e rassicurante, del referendum sull’Euro non parla più,  va a riverire il Quirinale e adesso dice di essere  disposto a considerare una coalizione dopo il voto, se non c’è maggioranza?  Ma i dubbi sono molti: è gente impreparata, senza veri principi, senza un vero programma di governo, anche tra di loro si sono infiltrati cialtroni e mascalzoni di ogni genere e, soprattutto, non si è capito: chi comanda veramente, lo sguaiato comico genovese, la Casaleggio e Associati o Di Maio? Il fatto è che i 5 Stelle rappresentano un salto nel buio. Vale per loro la vecchia massima: meglio un male conosciuto che un bene incognito.

Al di fuori di quelle tre forze, ci sono irrilevanza e deserto. Lasciamo stare il folclore di CasaPound e Forza Nuova, ma la banda dei Grasso, D’Alema, Bersani, Boldrini, Camusso, no!  Sono eterni velleitari, gente che non ha capito niente, pronta a fare gli stessi errori che hanno condannato la Sinistra in tutto il mondo. Gente che si inebria cantando Bella Ciao, come se così si risolvessero i problemi di una società avanzata. Coi loro rancori, con le loro vendette, con la loro disperata voglia di contare qualcosa, hanno tolto al Paese l’unica possibilità di un governo solidale e riformatore.  Però il fanatismo, la cecità, la passione di parte, sono infinite ed anche loro raccoglieranno il loro bottino di voti, pochi per contare qualcosa ma sufficienti a sbarrare la strada al PD e ad assicurarsi qualche poltrona, per poi crogiolarsi nell’opposizione permanente, credendosi tutto sommato importanti (grazie anche alla stampa e alla TV, che concedono  loro uno spazio sproporzionato e immeritato).

Capisco dunque  la reazione di quanti, specialmente tra i più giovani, scelgono di voltare la spalle alla politica e non andare a votare. Ma questa non è un’opzione valida. Chi rinuncia a votare apre la strada ai fanatici, ai mestieranti, agli estremisti di vario colore.

Dunque, votare bisogna. E qui il ragionamento si fa obbligato: non si tratta di scegliere il meglio ma, ahimè, il meno peggio. Si tratta di non giocare ai dadi il futuro di tutti noi. Il centro-destra pare alle volte un’accozzaglia  tenuta insieme da Berlusconi con lo sputo (cioè dalla voglia di afferrare il potere), è vero, ma tutto sommato Forza Italia resta una scelta plausibile, se prevale nel Centrodestra e affida il governo a persone come Tajani, ed è per questo che i “Moderati”, anche se delusi da Berlusconi, dovrebbero votarla. Altrettanto plausibile, con tutti i suoi difetti, resta sul versante opposto la scelta del PD. Almeno, se uno dei due dovesse governare, non ci ritroveremmo con un’Italia squadrista, razzista e tagliata fuori dall’Europa. Non ci ritroveremo con la liretta, l’inflazione permanente, il discredito nel mondo. Le nostre libertà, i nostri diritti fondamentali, sarebbero nell’insieme salvi.

Al di fuori di quelle due forze, qualsiasi altra scelta comporta rischi che, francamente, è meglio non correre. Buon voto, dunque, voto utile, e sempre Viva l’Italia.

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