Cronache dai Palazzi

A pochi giorni dal voto alcune regioni italiane (Emilia Romagna, Lombardia e Veneto) hanno raggiunto un accordo preliminare con il governo sull’autonomia amministrativa differenziata focalizzata su quattro materie fondamentali: istruzione, sanità, lavoro e ambiente. Per diventare operativa nella prossima legislatura, l’intesa dovrà però essere sostenuta dalla maggioranza assoluta delle Camere che si formeranno in seguito al voto di domenica 4 marzo. Nel frattempo altre regioni (Piemonte, Liguria, Campania e Puglia) hanno intrapreso il percorso per ottenere la cosiddetta “autonomia variabile”.

L’accordo sull’autonomia amministrativa è stato firmato a Palazzo Chigi dal sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa (Pd), i governatori leghisti Roberto Maroni e Luca Zaia, e il democratico Stefano Bonaccini. “È una data storica, indietro non si torna”, è stato affermato dai firmatari, mentre il premier Gentiloni ha specificato: “Con questo accordo non sono in gioco egoismi ma servizi di migliore qualità per tutti i nostri cittadini. Così abbiamo riportato la questione nei binari previsti dalla Costituzione”.

Il percorso per ottenere la parziale autonomia è iniziato con la richiesta dell’Emilia nell’inverno del 2017, per proseguire con le leggi regionali approvate in Lombardia e in Veneto al seguito dei referendum indetti da Maroni e Zaia nell’autunno dello scorso anno.

Nella pratica per quanto riguarda l’istruzione, ad esempio, le tre regioni potranno amministrare in maniera più autonoma calendari e moduli organizzativi, pur rispettando l’unicità dei programmi nazionali e il contratto dei docenti ai quali potrebbero però essere destinati degli incentivi “locali”. Per la Sanità, invece, fermo restando i livelli essenziali del Servizio sanitario nazionale uguali per tutte le regioni – almeno sulla carta – Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto potranno gestire più autonomamente le diverse Asl e l’Emilia Romagna ha richiesto, per di più, maggiore autonomia anche nella distribuzione dei farmaci. “Non è un patto politico”, assicurano le regioni firmatarie, bensì “un accordo istituzionale tra lo Stato e tre regioni”.

Su un altro fronte il Polo unico delle visite fiscali attivo da settembre 2017 – investendo l’Inps della competenza delle verifiche che riguardano i dipendenti pubblici – ha depotenziato i “comportamenti opportunistici” dei lavoratori degli uffici pubblici, come ha confermato anche il presidente dell’Istituto nazionale di previdenza, Tito Boeri. Il suddetto Polo unico non comprende i settori difesa e sicurezza. Da settembre le visite ai dipendenti pubblici sono state 144 mila e sono stati presentati circa 1,7 milioni di certificati, comunque il 13,1 per cento in meno rispetto allo stesso periodo del 2016. Nel contempo sono diminuiti anche i giorni di malattia, in particolare le assenze di un solo giorno. Per quanto riguarda il calo dei certificati si registrano inoltre delle differenze a livello geografico: è del 9,6 per cento al Nord, del 13,6 al Centro e del 15,9 nel Mezzogiorno. E vi sono anche delle differenze di genere in quanto appartiene agli uomini la riduzione più accentuata con un meno 16,9 per cento, contro un meno 11,7 per cento delle donne.

Sul fronte elettorale le varie forze politiche ragionano sul post-voto e non si esclude un governo di scopo qualora non si registri il predominio netto di un partito o gruppo, il tutto però sotto la stretta sorveglianza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, chiamato a vigilare sui princìpi della Carta costituzionale. Per alcuni un eventuale governo di larghe intense sarebbe funzionale solo al cambiamento della legge elettorale per tornare rapidamente alle urne.

Nel frattempo, dopo le preoccupazioni dei giorni scorsi espresse chiaramente dal presidente Juncker (ma fin da subito rimosse), dalla Commissione europea fanno sapere che non vi è nessun piano in particolare per l’Italia bensì “piena fiducia” nel voto del 4 marzo. “Lavoriamo sempre per la stabilità dappertutto compresa quella dei mercati finanziari”, ha affermato il portavoce comunitario ribadendo che “non è in preparazione alcun piano in particolare” per l’Italia. In pratica, l’esecutivo comunitario non sta lavorando a misure per fronteggiare un’eventuale instabilità politica che potrebbe essere il frutto di un risultato elettorale poco deciso, ossia non in grado di garantire una maggioranza stabile. In definitiva, quindi, le fonti comunitarie ribadiscono la “fiducia” delle istituzioni europee “nella capacità del governo italiano di assicurare che l’Italia resti un ‘giocatore’ importante in Europa”.

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