Localismo e globalismo nel condominio Italia

“Le razze dell’umanità non potranno mai più tornare ad arroccarsi nell’esclusività delle loro cittadelle fortificate. Esse sono ormai a stretto contatto l’una con l’altra, fisicamente e intellettualmente. Le strutture in cui si sono rinchiuse per lungo tempo, e che le hanno tutelate garantendone l’assoluta sicurezza sono ormai crollate, e nessun processo artificiale potrà mai rabberciarle. È un dato di fatto che dobbiamo accettare, benché non abbiamo ancora pienamente adattato la nostra mente a un tale cambiamento ambientale, e malgrado tramite questo potremmo trovarci ad affrontare tutti i rischi implicati in un ulteriore ampliamento del nostro campo d’azione e della nostra libertà”.

Queste parole non sono scritte da un politico convinto europeista dell’epoca nostra, ma da Rabindranath Tagore e risalgono al 1930. Con incredibile lungimiranza, Tagore aveva descritto un futuro forse immaginabile in un periodo in cui protezionismo, autarchie e barriere ancora imperversavano.

Sembra che, in molti, si siano dimenticati la dimensione globale verso cui stiamo procedendo e pongono inutili quanto pericolosi freni. Da partiti che si arroccano su posizioni ultraconservatrici o volte a proteggere anacronistici localismi, e anche nostalgiche reminiscenze, fino a movimenti che per ragioni ideologiche, si oppongono a innovazioni e sviluppi inevitabili. I fronti del no puro e semplice, ovvero ostentatamente sbandierato come il no duro, spesso travalicano in pericolosi estremismi e rappresentano non solo gravi freni, ma anche un evidente danno e pericolo per ogni forma di dialogo, base del concetto di democrazia, di sviluppo, di progresso.

Le istanze di tutti vanno ascoltate e le opinioni rispettate, ma quando queste si pongono contro ogni logica è il momento di riflettere sulla loro portata e sulle loro ragioni. Dovrebbe essere più che mai compito di partiti e movimenti che, peraltro, sembrano essere più preoccupati delle istanze personalistiche e locali che non a individuare e perseguire posizioni e strategie che possano agevolare una soluzione complessiva alla situazione attuale italiana e globale. L’ultima campagna elettorale e già le prime reazioni vanno ancora in questa direzione controcorrente.

È vero che l’urgente fa passare in secondo piano l’importante, e viviamo in un paese che, attaccato alle proprie radici e tradizioni, ha sempre pensato che fosse meglio riparare e ristrutturare la casa vecchia che non abbatterla per costruirne una nuova. Ci si perdoni lo scomodo e forse inopportuno paragone con l’edilizia, ma è probabilmente lo specchio che meglio rende l’idea. L’Italia è un condominio litigioso che abita in un palazzo da riparare e dove ognuno pensa più al suo appartamento, che non alla stabilità dell’edificio. Ma tutti, indistintamente, sono coesi contro l’amministratore, specialmente chi lo ha votato. Le statistiche sono abbastanza chiare e allarmanti. Siamo ai primi posti per la tassazione e agli ultimi per il numero di laureati nelle materie scientifiche, vale a dire quelle che sono le basi per il futuro e le possibilità di un concreto inserimento nel mondo del lavoro. Nessuna università italiana tra le prime al mondo; agli ultimi posti nella disoccupazione in Europa, specialmente in quella giovanile. Si potrebbe continuare passando per la sanità e la giustizia.

Questo edificio ha bisogno di interventi massicci e importanti per mantenerlo in piedi, ma ancora in pochi, o forse nessuno, pensano ad abbatterlo e ricostruirlo con tecniche che lo rendano più adatto a mutamenti che non vogliono essere accettati dai più, in nome dell’interesse personale e della difesa di status quo anacronistici: zavorre che frenano un processo irreversibile di globalizzazione. Non si ha notizia  progetti a lungo termine che siano al passo dei tempi.

Infine tutti, salvo eccezioni di circostanza, spesso per denigrarlo, glissano sul concetto che è il più importante in chiave prospettiva: l’Europa. L’esperienza Brexit non ha insegnato molto e, forse stiamo ancora perdendo un’occasione. Dall’epoca dell’Impero romano vi è sempre stata una realtà nazionale che ha caratterizzato con il suo peso militare, politico ed economico ogni epoca. Ultimamente gli Stati Uniti, prima l’impero Austro Ungarico e l’Inghilterra, quando presero il posto della Francia. Prima ancora la Spagna. Oggi dovrebbe essere finalmente il turno dell’Europa. Ma continuiamo ancora a combattere tra Guelfi e Ghibellini. E il Manifesto di Ventotene sembra purtroppo un vecchio ricordo.

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