Cina, in aumento le spese militari

Pochi giorni fa la Cina ha annunciato che per il 2018 prevedeva un aumento dell’8,1% del suo bilancio militare. Un aumento che preoccupa i suoi vicini asiatici, ma ritenuto moderato da molti esperti.

Dobbiamo avere paura dell’idra militare cinese? La domanda si pone dopo la dichiarazione dello scorso 5 Marzo, quando la Cina ha rivelato il suo bilancio militare per il 2018. Durante il discorso pronunciato dal Primo Ministro Li Kequinag davanti ai deputati, si è venuti a conoscenza della decisione della Repubblica popolare Cinese di dare quest’anno un’accelerata alle spese militari. Il bilancio militare aumenterà dell’8,1%, portando la spesa a un totale di 175miliardi di dollari. Secondo un rapporto degli esperti dell’Istituto Internazionale per gli Studi Strategici (IISS), con base a Londra, la Cina ha speso nel corso del 2017 un totale di 151 miliardi di dollari per il suo esercito. Questo aumento è coerente con le aspettative del Presidente Xi Jinping, ormai leader assoluto del suo Paese, visto che è riuscito a togliere dalla Costituzione il vincolo sul numero di mandati sulla presidenza della Repubblica. Sicuro della sua forza, già lo scorso Novembre aveva promesso ai suoi concittadini “un esercito di fama mondiale” entro il 2050. “Dobbiamo modernizzare la difesa nazionale e l’esercito entro il 2035 e, verso la metà del secolo, rendere l’esercito popolare un esercito di fama mondiale”, aveva più volte ribadito davanti ai 2300 delegati del Partito Comunista Cinese (PCC). Il bilancio militare della Cina viene monitorato da vicino a livello internazionale, tanto le ambizioni in questo campo di questa superpotenza economica forte di 1,8 miliardi di abitanti preoccupano.

I vicini della Cina sono allarmati, soprattutto a causa della sua tradizionale intransigenza nei confronti dei territori che considera come corollario della sua sovranità storica: l’isola di Taiwan (Pechino ne ha perso il controllo nel 1949 a vantaggio del regime rivale), le isole Senkaku-Diaoyu (per le quali è in disputa con il Giappone), alcuni territori frontalieri (con l’India) e gli isolotti nel Mar della Cina meridionale (per i quali anche Vietnam, Filippine e Malesia rivendicano i loro diritti). nella risposta al discorso del Primo Ministro cinese, il Ministro giapponese per gli Affari Interni, Yoshihide Suga, ha esternato tutta la sua preoccupazione: “Ci piacerebbe che la Cina faccia prova di maggiore trasparenza sulle sue spese e sugli obbiettivi della sua potenza militare”. Ma il Paese al quale la Cina fa più paura è Taiwan, che nel suo discorso il Primo Ministro cinese ha fermamente messo in guardia, promettendo che Pechino “difenderà fermamente la sovranità e l’integrità territoriale del Paese e non tollererà alcun tentativo o azione separatista”. Taiwan, che dal 2006 è governata dal Partito Democratico e Progressista (DPP) da sempre a favore dell’indipendenza dell’isola, ha espresso a sua volta la sua preoccupazione attraverso Huang Chung-yen, portavoce della presidenza, che ha ricordato che la protezione della pace era una responsabilità condivisa: “Nelle relazioni intra-stretto , la nostra politica è sempre stata volta ad un impegno trasparente per la pace regionale e la protezione della stabilità della zona”. “La Cina prestare maggiore attenzione alle critiche internazionali, rendere più trasparente il suo bilancio e abbandonare la sua strategia di spiegamento militare nei confronti di Taiwan per evitare un escalation nelle tensioni regionali”, ha esortato il DPP nel suo comunicato.

Andrew Erickson, specialista sulla Cina dell’US Naval War College del China Maritime Institute, ritiene che il fatto che l’aumento del bilancio militare sia superiore a quello della crescita prevista (+6,5%) è rivelatore di mire strategico militari. “Ciò dimostra che la strategia di Xi Jinping per restituire alla Cina la sua grandezza non si basa unicamente su un ‘sogno cinese’ a sfondo culturale, ma anche sull’idea di una potenza militare forte”, ha spiegato Erickson in un’intervista rilasciata al Washington Post. Nel suo messaggio ai deputati, Li Kequiang ha giustificato l’aumento delle spese militari adducendo la necessità “di migliorare l’esercito, sia per quanto riguarda la preparazione alla guerra e l’addestramento militare, sia nel campo della difesa della sicurezza e della sovranità nazionale così come gli interessi cinesi”. Il Primo Ministro ha anche sottolineato gli sforzi del Paese nel diminuire il numero del personale militare, passato da 2,3 milioni di uomini a due milioni. Una smobilitazione che in effetti nasconde la volontà di disporre di un esercito più compatto e professionale. “Non ci sarà una iper militarizzazione della Cina”, analizza James Char, esperto di esercito cinese dell’Università di tecnologia di Nanyang, a Singapore. Sottolinea che, in questi ultimi anni, il tasso di crescita delle spese militari “non è sproporzionato” e segue più o meno quello del Pil, e “questo trend andrà avanti per un po’”, puntualizza. In effetti, i 151 miliardi di dollari spesi nel 2017 rappresentano, secondo l’IISS, quattro volte meno la spesa degli Stati Uniti (603 miliardi). Ma sono nettamente superiori a quelle dell’Arabia Saudita (77 miliardi), della Russia (61 miliardi), dell’India (53 miliardi), del Regno Unito (51 miliardi), Italia (21 miliardi). Un rapporto del think thank China Power relativizza la portata degli investimenti militari della Cina. Ricorda che il bilancio militare della Cina rappresentava nel 2016 solo il 6,2% del suo bilancio globale. Gli Stati Uniti quell’anno ne avevano investito il 9,3%, mentre la Russia arrivava al 15,5%.

Ni Lexiong, esperto militare dell’Università di diritto e scienze politiche di Shangai, ricorda che nel contesto attuale di tensione nella penisola coreana e alla frontiera indiana, le nuove spese non appaiono affatto fuori misura: “Tenuto conto della situazione, questo aumento simbolico equivale in pratica ad un non aumento”, dichiara Lexiong al Washington Post.

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