L’Europa cammina. E noi?

Mentre ci avvolgiamo nelle tristi beghe di casa nostra, il mondo va avanti, senza preoccuparsi di sapere se alla presidenza delle due Camere andranno grillini, legisti o forzisti o speculare su cosa farà il PD. E cammina, per fortuna, l’Europa. La lunga crisi di governo tedesca la teneva in stallo, ora la Merkel è tornata pienamente in sella, la grande coalizione assicura un esecutivo stabile, che al primo posto nel suo programma ha posto lo sviluppo dell’integrazione europea, impegnandosi tuttavia a spingere per le riforme ormai necessarie.

L’incontro della Cancelliera col Presidente francese Macron ha costituito, lo confesso, una boccata di ossigeno per chi, come chi scrive, guarda ai grandi fenomeni mondiali considerando che da essi dipenderanno, in  buona parte, le nostre sorti. Nel loro incontro, i due leader hanno confermato la volontà comune di andare speditamente avanti dove è realisticamente possibile (noto che non si è parlato di fughe in avanti istituzionali): immigrazione, solidarietà economica, sicurezza e difesa. Si tratta, per ora, di una dichiarazioni di intenzioni, ma in politica anche le intenzioni contano. E i due Capi di Governo si sono formalmente impegnati a presentare per il prossimo mese di giugno un programma concreto, una “road map” che dovrà segnare il cammino per l’avvenire. Se così  sarà, gli altri paesi europei saranno posti di fronte a una scelta: seguire la linea proposta dal duo franco-tedesco e andare avanti, o fare la fronda e restare indietro, magari cercando di mettere i bastoni tra le ruote a Parigi e Berlino. L’uscita della Gran Bretagna non fornisce infatti più l’utile alibi del passato, quando era comodo nascondersi dietro le resistenze inglesi a qualsiasi passo in avanti.

È probabile che sulle proposte franco-tedesco si produrrà una divisione, tra paesi seri e grandi, pronti a costruire l’Europa del futuro, e paesi marginali, gelosi di prerogative sorpassate. Da che parte staremo? La nostra posizione non sarà irrilevante: l’Italia è uno dei sei Paesi fondatori e il terzo grande paese del Continente. La sua assenza costituirebbe una seria perdita, anche se penso che Germania, Francia e altri andrebbero avanti lo stesso, seguite da Spagna, Belgio, Olanda, Finlandia, Irlanda, Portogallo e altri.

In sostanza, dovremo  decidere se far parte del gruppo di testa, con la possibilità di sostenere i nostri interessi e le nostre vedute, o ritirarci su una sorta di Aventino europeo, magari in collegamento con paesi  euroscettici (e insignificanti), come l’Ungheria. Sarà un’occasione storica, per l’Europa e per noi. Un’occasione che, se la perdessimo, non si riprodurrebbe per chissà quanto tempo.

Cosa farà a quel punto il futuro governo italiano? Difficile dirlo, visto che non sappiamo chi lo dirigerà e chi lo sosterrà. Non è affatto escluso che prevalgano, sotto le vesti di un superato “sovranismo”, la gretta miopia di marca leghista e meloniana, la stupida cecità di quelli che guardano come referenti a Trump e a Putin. E l’Italia resterà fuori, per chissà quanto, dal plotone di testa dei paesi seri, con finanze stabili, rispettosi degli impegni liberamenti assunti, e parte di un tutto che si affermerà come protagonista della Storia e arbitro del proprio destino. Perciò mi sembra estremamente importante che, in questa difficile fase formativa, le forze che sono veramente liberali ed europeiste stiano in massima allerta e facciano sentire la propria voce. Nessuna solidarietà di coalizione, nessuna falsa obbedienza partitica, e nessun orgoglio fuori posto, devono impedire – a chi sente e sa, lucidamente, dove sia il nostro futuro – di mantenere la rotta che seguiamo ormai da oltre sessant’anni e che ha portato l’Italia ad essere, non più un paese mediterraneo di stampo quasi africano, ma una delle principali potenze economiche del mondo.

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