Israele, Corte Suprema congela rimpatrio migranti africani
A rischio espulsione, i migranti africani entrati in Israele senza permesso potranno tirare il fiato per un po’ in seguito alla decisione della Corte suprema israeliana di congelare il piano del Governo.
La Corte suprema israeliana ha sospeso il controverso piano del Governo che prevedeva l’imminente espulsione di migliaia di migranti africani entrati illegalmente nel Paese. “Rendiamo in questa sede un ordine provvisorio che vieta (allo Stato) di espellere i clandestini verso un Paese terzo”, si legge nella sentenza emessa dalla Corte. Investita del caso da parte di alcune organizzazioni per la difesa dei migranti – che denunciavano soprattutto l’illiceità dell’espulsione verso Paesi terzi – il collegio ha quindi congelato il progetto fino al 26 Marzo, dando allo Stato un limite di tempo entro il quale fornire l’argomentazione legale dettagliata sulla quale si basa la sua ambigua decisione. La sentenza della Corte suprema è arrivata in contemporanea all’annuncio di Israele di chiudere il centro di accoglienza per migranti africani di Holot, nel sud del Paese. Agli ospiti non rimane che decidere, entro il 1° Aprile, di lasciare il Paese o rischiare la prigione.
La Corte suprema ha emesso la sua sentenza proprio quando invece il Governo di Benjamin Netanyahu, il più a destra della storia di Israele, sperava nell’espulsione di migliaia di Eritrei e Sudanesi, entrati illegalmente nel Paese e senza una richiesta di asilo ufficialmente aperta. L’ultimatum che è stato loro imposto: andarsene entro inizio Aprile – o verso il loro Paese di appartenenza, o verso un Paese terzo – o finire in prigione fino a quando non decidano di essere espulsi. Le autorità non hanno però dato alcuna indicazione in quale Stato i migranti avrebbero potuto essere espulsi perché sanno che Israele riconosce tacitamente che non possono essere rispediti in Sudan o in Eritrea senza che le loro vite siano messe in pericolo. Il regime eritreo è stato accusato dalle Nazioni Unite di crimini contro l’umanità “generalizzati e sistematici”. Per quanto riguarda il Sudan, il suo Presidente Omar el-Bachir è attualmente oggetto di un mandato di arresto della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio. Secondo le organizzazioni per la difesa dei migranti, il Governo israeliano avrebbe dunque deciso di espellere questi immigrati verso Paesi terzi come l’Uganda e il Ruanda. Affermazioni smentite dai due Paesi interessati.
Il piano di espulsione del Governo, reso pubblico lo scorso 3 Gennaio, ha suscitato moltissime critiche, soprattutto da parte dell’Alto Commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite (HCR), ma anche in Israele, di alcuni sopravvissuti alla Shoah e di parte della società civile. Il Governo propone loro di lasciare “volontariamente” il Paese con 3500 dollari in mano entro il 1° Aprile data oltre la quale rischierebbero invece l’arresto. Secondo il ministero degli interni, 42000 migranti africani vivono in Israele, la cui metà, donne e bambini, non è sottoposta alla scadenza del 1° Aprile. Questo piano riguarda in questa fase gli uomini che non hanno fatto richiesta di asilo o la cui domanda è stata respinta. Questi migranti sono arrivati in gran parte dopo il 2007 infiltrandosi nel Sinai egiziano. Quella frontiera con l’Egitto, all’epoca molto porosa, è diventata oggi praticamente ermetica. Sempre secondo il ministero degli interni 300 di loro ha già lasciato il Paese alle condizioni poste nel piano del Governo.
Benjamin Netanyahu si era recato alla fine dello scorso Agosto a sud di Tel-Aviv, dove risiedono migliaia di migranti africani, e si era impegnato “a restituire” quel settore ai “cittadini israeliani”. In Novembre, l’Alto Commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite (HCR) aveva espresso la sua preoccupazione nei confronti della strada intrapresa dal Governo israeliano, ricordando soprattutto che Israele aveva “degli obblighi legali trattandosi di protezione di rifugiati”. Israele non ha una politica sull’immigrazione conosciuta. Firmatario della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, lo Stato ebraico non può espellere i migranti verso i loro Paesi di origine, visto che quel ritorno in Patria equivarrebbe ad una sentenza di morte. Israele ha quindi cercato dei partner africani, dei Paesi tersi ai quali dare in appalto la gestione dei migranti. E, da quando nel 2009 le autorità israeliane si sono prese la responsabilità di decidere chi entrasse in quella categoria, solo otto Eritrei e due Sudanesi hanno ottenuto lo statuto, puntualizza l’HCR. Duecento cittadini sudanesi originari del Darfur sono riusciti ad ottenere lo “status di rifugiato umanitario in Israele”, afferma sempre l’Alto Commissario, ma “il segreto che avvolge questa politica (sull’immigrazione) e la mancanza di trasparenza sulla sua attuazione hanno reso molto difficile il controllo e il monitoraggio regolare delle persone”, sottolineano le Nazioni Unite.
Il congelamento del piano del Governo da parte della Corte Suprema è una soluzione effimera, cosa succederà in seguito una vera incognita.
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