Cronache dai Palazzi

Nulla di fatto, il presidente Sergio Mattarella ha certificato che il voto del 4 marzo non ha decretato alcun vincitore. Spiegando le “regole della democrazia”, il capo dello Stato ha ribadito che “a nessuno le elezioni hanno assegnato la maggioranza alla Camera e al Senato”. Per cui niente intese, serve ancora tempo. “Nessun partito e nessuno schieramento dispone, da solo, dei voti necessari per formare un governo e sostenerlo”, ha sottolineato Mattarella.

Le consultazioni al Quirinale per la formazione della nuova squadra dell’esecutivo continueranno la prossima settimana. E già spunta l’ipotesi – oltre alla più drastica del voto anticipato, non auspicato dal capo dello Stato – di un governo messo a punto per fare poche cose, quelle necessarie (tra le quali la legge elettorale), e poi tornare alle urne in autunno. Il capo dello Stato ha comunque avvertito: “Le consultazioni hanno lo scopo di far emergere la composizione di un governo che abbia il sostegno della maggioranza del Parlamento”, di conseguenza, nello scenario attuale, occorre che “due dei tre blocchi” dei quali si compone adesso il nostro panorama politico “si uniscano”.

La pausa fino a mercoledì prossimo, giorno in cui riprenderanno i colloqui nello studio alla Vetrata, servirà al presidente “per valutare responsabilmente la situazione, le convergenze programmatiche e le possibili soluzioni per far partire l’esecutivo”.

Di Maio e i Cinque Stelle continuano a rivendicare la leadership di governo e vorrebbero condurre il gioco, ma il centrodestra  – Berlusconi in primis – non ci sta. I Forzisti, comunque, non intendono nemmeno lasciare il timone al Carroccio perché entrare in un governo “dalla porta di servizio”, ha dichiarato Berlusconi, comporterebbe  che “potrebbero isolarci su tutto”.

Si è pronunciato anche il forzista Antonio Tajani, presidente del Parlamento Ue: “Di Maio vuole rompere la coalizione di centrodestra per poi andare al voto, man non ci riuscirà. Noi non ci faremo umiliare. Si parta da un governo di centrodestra e si cerchino convergenze sui punti del programma”. In questo contesto nessun epilogo può essere escluso, anche il più fallimentare, ossia l’ipotesi del voto.

“Tempi lunghi per la soluzione della crisi”, come ha preannunciato il leader dei forzisti che non intende farsi rappresentare da Salvini al tavolo delle trattative, e considera il dialogo con il M5S “non immaginabile”. Anche il segretario del Partito democratico, Maurizio Martina, non vede all’orizzonte un accordo con i Cinquestelle e così il Pd è unito dal “no” a Di Maio. “Di Maio la smetta di usarci come secondo forno per alzare il prezzo con la Lega”, ha ammonito Guerini. E Rosato ha aggiunto: “Noi incontriamo tutti ma Di Maio non vuole costruire le premesse per un incontro, è chiaro”.

Voci provenienti dal Nazareno riferiscono comunque di un Maurizio Martina indeciso se accettare l’invito al dialogo di Luigi Di Maio, disponibile ad un’apertura, ad un confronto, a proposito del quale i renziani remano decisamente contro dimostrando che all’interno del Pd vige ancora la linea del segretario dimissionario, Matteo Renzi, che segue lo spettacolo da dietro le quinte. I renziani rifiutano in blocco l’offerta dei pentastellati e sono decisi a proseguire sulla strada dell’opposizione “responsabile”. Le vicende delle trattative per la formazione del nuovo governo si intrecciano inoltre con quella dell’elezione del nuovo segretario del Pd, che avverrà durante la prossima Assemblea dem fissata per il 21 aprile. Maurizio Martina sarà candidato e il segretario uscente sembra essere intenzionato a prendere la parola: “Ascoltatemi che sarà interessante”, ha affermato Matteo Renzi rivolgendosi ai suoi compagni di partito. Di certo occorrerà trovare una linea, e magari “andare oltre il Pd”, come ha affermato Sandro Gozi in un’intervista all’Huffington Post, per “costruire da subito un’alleanza progressista ed europeista”. Non mancano inoltre le frecciatine. Dicono gli orlandiani: “E se Martina vuole farsi eleggere all’Assemblea nazionale non può non farsi dettare la linea”. Riferendosi all’autonomia di pensiero del reggente rispetto all’aura renziana.

Di Maio sembra abbia detto di “sì” anche a Renzi pur di fare il governo, ma l’ex segretario e i suoi si oppongono duramente alle avances dei pentastellati. Di conseguenza Martina ha dichiarato il “no” dem ai giornali, in maniera informale e non con una nota ufficiale come avrebbe voluto invece il segretario dimissionario e il suo staff di fedelissimi.

Tra il reggente Martina e i renziani sembra non scorra buon sangue, e la candidatura di Martina a segretario del partito non è vista di buon grado dallo staff di Renzi. “Non possiamo dare per scontata l’elezione a segretario, sarebbe un errore”, sostengono. In sostanza la candidatura di Maurizio Martina non è benvoluta e per di più Martina sembra non aver avvertito Renzi che si sarebbe candidato. Il “no” a Di Maio, infine, trapelato attraverso la stampa e non messo nero su bianco con una nota ufficiale, ha assunto per Renzi e i renziani un peso instabile denotando inaffidabilità. Per tagliare la testa al toro i renziani propongono un congresso vero e proprio con tanto di primarie.

Tornando sul piano delle consultazioni per la formazione del nuovo governo, in una prospettiva aperta al dialogo tra i partiti, ma comunque lanciando un avvertimento ai grillini, il leader di Liberi e uguali, Pietro Grasso, ha affermato: “Ci stiamo a trattare, purché si condivida il nostro programma”.

Sconcertato dalle reazioni di Berlusconi a ridosso delle consultazioni al Quirinale, il segretario della Lega, Matteo Salvini, ha invece dichiarato di aver apprezzato il clima “molto schietto” dell’incontro con il Presidente, e di aver ripetuto “quel che ho sempre detto”, ha affermato Salvini, ossia “che si parte dal centrodestra, ma che occorre trovare il modo di dare all’Italia un governo stabile che duri 5 anni”. Spiegando la logica dei cinque anni Matteo Salvini ha sottolineato: “Avremo bisogno di un governo forte, in grado di resistere a Bruxelles, alla Bundesbank, allo spread e a tutto quel che si scatenerà”. E comunque il leader del Carroccio avverte anche gli alleati: “Forza Italia in questo modo toglie a Di Maio le castagne dal fuoco, gli consente di dire che sono altri quelli che chiudono”. I leghisti, in sostanza, fanno sapere che “non accetteranno incarichi esplorativi, intendono trovare la strada di un governo ma non hanno paura di andare alle elezioni”. Del resto ancor prima che le consultazioni al Colle prendessero il via, Matteo Salvini aveva avvisato: “Se tutti continuano ad arroccarsi sulle loro posizioni, non credo ci siano altre possibilità se non il ritorno alle elezioni”. Anche con due date possibili: “A giugno o a ottobre”.

Nel secondo giro di consultazioni, come nel primo, i fari del presidente della Repubblica Sergio Mattarella saranno in definitiva l’esistenza di una maggioranza autosufficiente e la condivisione di un programma non ridotto ai minimi termini che rispetti, tra le tante cose, i vincoli europei. A partire dai vincoli economici – e quindi il rispetto dei conti pubblici – che devono tener presente i parametri dell’eurozona. Sergio Mattarella, assicurano fonti del Quirinale, non rinuncerà nemmeno ai vincoli politici, ossia la fedeltà ai trattati dell’Unione, perché è solo riferendosi all’Europa e ai suoi valori, che si può agire cercando di preservare l’“interesse nazionale”.

Sullo sfondo delle consultazioni vige quindi un generale compromesso tra politica ed economia che rappresenta la garanzia per la stabilità politica e la credibilità di un Paese. Il premier Paolo Gentiloni, a sua volta, è pronto a rinviare il Def. Il Documento di economia e finanza è pronto per essere inviato a Bruxelles ma il governo uscente attenderà ancora due o tre settimane prima di presentarlo in Parlamento. La scadenza del 10 aprile verrà così superata auspicando che il prossimo giro di consultazioni porti alla formazione di un governo in tempi ragionevoli, tanto da lasciare ai nuovi inquilini di Palazzo Chigi e al nuovo ministro dell’Economia il compito di presentare il Def all’Ue. Ovviamente se il nuovo governo non vedrà la luce entro la fine di aprile toccherà alla vecchia squadra dell’esecutivo consegnare il compito all’Europa. Nel frattempo Paolo Gentiloni e Pier Carlo Padoan stanno elaborando un “Rapporto di fine mandato”, da consegnare ai successori.

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