Missione compiuta?
Al di là delle motivazioni morali – punire l’uso di armi chimiche e scoraggiarlo per il futuro – riesce veramente difficile identificare un ragionevole disegno strategico nell’azione occidentale contro la Siria. I raid aerei possono servire, e molto in certe situazioni, se si parte di una strategia d’insieme volta a raggiungere determinati obiettivi. Tali obiettivi non sono, questa volta, chiari.
Andiamo alla sostanza. In Siria c’è un regime, odioso finché si vuole, che combatte una ribellione durata ormai sette anni. Dietro questa ribellione c’è di tutto: gruppi appoggiati dalla CIA e gruppi che fanno capo al peggiore terrorismo islamico di marca sunnita. Questo spiega perché Russia e Iran appoggino senza limiti il regime di Assad. Se uno ci pensa, l’interesse occidentale sarebbe stato, sin dall’inizio, lasciare che Assad sconfiggesse questo estremismo e magari aiutare a farlo. L’Occidente ha fatto tutto il contrario: il risultato è che Assad si è trovato a dipendere quasi interamente dagli alleati iraniani e, quel che è ovviamente peggio dal punto di vista della NATO, dai russi. L’appoggio di Putin ha fatto sì che l’Occidente raddoppiasse la sua ostilità, con il risultato a spirale di una sempre maggiore presenza russa anche militare.
Essendo questa la situazione, gli Occidentali avrebbero due possibili scelte: o lasciano il campo ai russi, fidando magari nella possibilità di recuperare la Siria col tempo grazie alla nostra maggiore forza economica, o puntano i piedi sul serio, mandando truppe pari o superiori a quelle russe, pronti ad affrontare il pericolo di un conflitto più esteso. Apparentemente, hanno scelto una terza via: una ostentazione di forza, accompagnata da proclami politici che ne smentiscono la portata e diminuiscono l’efficacia. La Casa Bianca ripete che le truppe USA se ne andranno, la May sentenzia che non è intenzione occidentale cambiare la situazione politica sul terreno? E allora? Allora, credo che bisogna tentare di trovare qualche motivazione altrove.
Per gli Stati Uniti, penso proprio che vada trovata nel carattere di Trump. Abituato a giocate di poker apparentemente audaci, per ottenere un fine nascosto e a coprire con le smargiassate la desolante mancanza di una politica seria. Probabilmente, il Presidente americano ritiene di dover uscire dal vespaio siriano, ma vuole farlo con una bravata, una specie di fuoco d’artificio, probabilmente un avvertimento: badate che siamo forti e capaci di colpire, non potere tagliarci fuori da una soluzione. Questo è, freudianamente, il senso della sua criticatissima frase “Missione compiuta”. Ma compiuta come, se non è neppure chiaro quale fosse realmente?
Non dimentichiamo inoltre che Trump parla molto di più ai suoi elettori che al mondo, ed è all’America profonda che vuole mostrarsi duro e spavaldo. Il momento e l’occasione scelti appaiono del resto sospettosamente opportuni: per un Presidente assediato dall’inchiesta di Meller sul Russiagate, quale miglior diversivo che flettere i muscoli, vellicare l’orgoglio patrio e prendersela con Putin di cui è sospettato di aver coltivato l’amicizia pericolosa? (Prendersela o fingere di prendersela: vi sono segni che mostrano che nell’attacco a Damasco sono stati accuratamente evitati obiettivi russi).
Meno chiare ancora le motivazioni francesi e britanniche. Come per Trump, dubito fortemente che lo sdegno umanitario per i patimenti dei siriani di Duma abbia svolto un ruolo decisivo. Credo che inglesi e francesi sono stati mossi dal desiderio di dimostrare di esistere e di contare qualcosa, specie in quel Medio Oriente tradizionalmente loro terra di conquista, ove la loro influenza viene inesorabilmente declinando. Dobbiamo forse pensare che Francia e Gran Bretagna, accodate agli Stati Uniti, hanno voluto dire: attenzione, ci siamo anche noi, al tavolo di un regolamento della situazione dovrete sentire anche la nostra voce. Motivazioni politiche, quindi, ma non c’è una visione strategica. E uscire dal groviglio siriano preservando gli interessi occidentali è sempre più difficile.
Intanto, la posizione tenuta dal nostro Governo mi pare equilibrata e saggia, e in certo senso obbliga. Che altro poteva dire o fare? In certe occasioni, ha ragione Berlusconi, è meglio saper tacere. Quanto a Salvini, sono d’accordo con Berlusconi: in certe circostanze sarebbe meglio tacere. Appunto.
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