Musica, ormai quasi solo streaming
È ufficiale, la fruizione di musica in streaming supera gli incassi di qualsiasi altro tipo di fruizione musicale. I dischi fisici ed i download digitali stanno definitivamente scomparendo dalla scena musicale per lasciare spazio al mondo dello streaming.
La notizia è stata ormai diffusa in maniera ufficiale attraverso l’ultimo Global Music Report 2018 realizzato dall’IFPI (International Federation of the Phonographic Industry), in cui si conferma che le principali entrate del settore musicale sono generate dalla fruizione in streaming.
Quando parliamo di “streaming” ci riferiamo a piattaforme di fruizione musicale come Spotify, che hanno letteralmente cambiato l’esperienza di ascolto musicale. Su questo genere di piattaforme non è possibile scaricare il file musicale né salvarlo, ma è possibile ascoltarlo “in streaming” attraverso i server costruiti appositamente per ospitare il file audio. Per quanto riguarda l’Italia, lo scorso anno è stata registrata una crescita del 67,50% della musica in streaming e in generale l’incremento del mercato digitale è stato del 13% dal 2013 al 2017.
La musica in streaming ha rivoluzionato le modalità di fruizione di massa, non in maniera negativa, ma bensì “diversa”, poiché la musica – che anch’essa si appoggia alle nuove tecnologie – si è dovuta evolvere insieme ad esse verso una nuova forma di fruizione.
Secondo il Music Report 2018, durante tutto il 2017 lo streaming ha generato il 38,4% dei ricavi totali relativi al mercato della musica, dove per la prima volta nella storia della musica lo “streaming” è divenuto la principale fonte di ricavi.
Gli utenti che utilizzano tali servizi sono quasi 180 milioni, un numero davvero esorbitante, ma che è l’ennesima conferma del fatto che le cose stanno cambiando e che sta arrivando (purtroppo per gli audiofili affezionati) la scomparsa del prodotto “fisico” musicale come il CD che, infatti, è precipitato del 30%.
Secondo questo studio il calo delle copie fisiche, non corrisponde dunque ad un calo i termini di ascolto della musica in generale, ma tutt’altro, il calo dei ricavi da supporti materiali è stato compensato dalla grandissima crescita di quello derivante dallo streaming.
Un formato che invece è in risalita è quello del “vinile” che è arrivato al 22,3% e che è ufficialmente tornato di moda come “formato vintage” e super ricercato in comparazione al classico CD.
Vi è però una questione ancora irrisolta, quella del “value gap” per la quale è di grande importanza trovare una forma giuridica adeguata. Il value gap è la disparità relativa ai ricavi provenienti da piattaforme differenti, quindi per esempio si tratta della disparità tra le piattaforme di video streaming e quelle di audio streaming.
Il value gap è alimentato dalle legislazioni male applicate riguardo alla responsabilità online delle piattaforme. Questo ha fatto sì che alcune piattaforme di video streaming sostengono di non essere legalmente responsabili della musica che diffondono attraverso il loro portale; Youtube ad esempio non si prende tutte le responsabilità relative alla diffusione dei contenuti, dal momento che sostengono di non essere legalmente responsabili della musica che distribuiscono sul loro portale, dove chiunque abbia un account può condividere video musicali o video contenenti brani musicali, anche “non ufficiali”. Lo stesso non avviene su Spotify, dove invece le case discografiche guadagnano almeno 20 dollari l’anno per ogni utente.
Un problema che va affrontato e risolto presto perché i dati ufficiali parlano chiaro: il futuro della musica è assolutamente in “streaming”.
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