Erdogan, ambizioni infrante in Medio Oriente
Lo scorso fine settimana il Cairo ha espulso l’Ambasciatore turco e il suo omologo egiziano è stato definito “persona non grata” da Ankara. Nel frattempo, la Turchia sta affrontando un vasto sforzo di riavvicinamento con i suoi vicini sciiti, Iran e Irak, per ridare splendore al suo appannato blasone diplomatico in Medio Oriente, seriamente danneggiato dalla guerra civile in Siria e dal “tradimento” dell’Egitto.
Per diversi anni il Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan ha ostentato la volontà di dare al suo Paese il ruolo di attore principale sulla scena politica Regionale. Ma il conflitto siriano che scuote il Paese dal 2011 ha fatto crollare la sua velleità di vedersi “padrone” della Regione. Già ostile al Regime di Damasco e in lite con Irak, Iran e Israele, ecco Ankara ai ferri corti con l’Egitto.Il Regime militare egiziano ha di fatto espulso, Sabato scorso, l’Ambasciatore turco al Cairo in seguito alle dichiarazioni di Erdogan che affermava “non aver nessun rispetto” per coloro che avevano destituito l’ex Presidente islamista Mohammad Morsi. Ankara ha replicato dichiarando l’Ambasciatore dell’Egitto in Turchia “persona non grata”. “La Turchia di oggi è un Paese che va alla deriva da solo nel vuoto”, ha detto l’ex Ambasciatore turco a Washington, Faruk Logoglu, oggi vice-Presidente del principale Partito di opposizione, il Partito Repubblicano del Popolo (CHP). “La politica chiamata ‘zero problemi con i vicini’ non esiste più”, afferma da parte sua Sinan Ulgen, Presidente del Centro di Studi economici e di politica estera di Istanbul. “La Turchia non è riuscita a rispondere con una politica diplomatica realista ai cambiamenti sopraggiunti nella Regione a seguito delle Primavere arabe”, precisa lo studioso. Erdogan, la cui immagine è già stata seriamente compromessa all’estero per la violenta repressione della fronda popolare che l’ha preso di mira lo scorso Giugno, ha difeso la sua politica assicurando che il suo Paese stava dalla parte dei “giusti”, quale che sia la loro razza o religione. “Abbiamo sostenuto la lotta per la Democrazia nel Mondo intero – ha ripetuto più volte Sabato- non rispetteremo mai coloro che non rispettano i diritti dei popoli sovrani”.
Ma malgrado queste rassicurazioni, la Turchia ha già fatto i conti con il fallimento della sua politica mettendosi alla “ricerca di un nuovo equilibrio”. Erdogan sta rivalutando la posizione regionale della Turchia alla luce dei fallimenti della sua politica in Siria. Secondo gli esperti, la posizione aggressiva adottata da Ankara nei confronti del Presidente siriano Bachar al-Assad e il suo sostegno ai ribelli hanno contribuito ad avvelenare i suoi rapporti con i vicini iraniani e iracheni, entrambi sostenitori del Regime Alawita (sciita) di Damasco. Probabilmente la Turchia era consapevole che questo fosse il prezzo da pagare per la caduta di Assad, ma sicuramente non immaginava che il Regime avrebbe retto così a lungo. Uno sbaglio di calcoli che le sta costando caro. Per questo motivo Ankara a cominciato a riavvicinarsi con l’Iran e con l’Irak. Davutoglu è stato da poco a Teheran, per contraccambiare la visita ad Ankara di Mohammad Javad Zarif, visita durante la quale i due Ministri degli Esteri hanno costatato essere “più in sintonia che in disaccordo sulle questioni regionali”. Questo mese, il Ministro degli Affari Esteri turco si è recato anche a Baghdad alla ricerca di una “nuova ripartenza”. Le relazioni tra i due Paesi sono diventate tese per via del rifiuto di Ankara di estradare l’ex vice-Presidente iracheno Tareq el-Hachemi, ricercato per omicidio in Irak, e soprttutto per gli accordi petroliferi firmati dai turchi con la regione autonoma Curda di’Irak, che tenta di smarcarsi da Baghdad.
Per gli osservatori, questo riavvicinamento con Tehran e Baghdad traduce una forte preoccupazione di Ankara per la forza cha stanno guadagnando, vicino alla sua frontiera, i Curdi della Siria, vicini ai ribelli del PKK ai quali si oppone sul suo territorio, e che hanno appena creato una propria amministrazione in una zona all’estremo Nord della Siria. La Turchia sta realizzando che deve ripensare la sua opposizione al Regime siriano attraverso misure destinate a contenere i Curdi della Siria, e questo può avvenire passando attraverso un miglioramento delle relazioni con l’Iran e l’Irak.
Questo cambio di rotta non ha impedito al deputato turco dell’opposizione Muslim Sari di definire Davutoglu il “peggior Ministro del Governo” e il “peggior Ministro degli Affari Esteri nella storia della Repubblica Turca”. Noi non possiamo giudicare, per ora possiamo solo osservare, senza dimenticare che la Turchia rimane un Paese strategicamente ed economicamente importante, che nessuno dei suoi alleati (e non) può mettere nel dimenticatoio o sottovalutare. I giochi sono ancora ampiamente aperti, l’Iran si sta “aprendo” agli Stati Uniti e gli Stati Uniti sono “amici” della Turchia. Non è un dettaglio.
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