Fiscal compact fra identità e senso
Le conseguenze del «Fiscal Compact», cioè del Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell’Unione, saranno il centro dell’agenda europea dei prossimi mesi, o comunque, la principale preoccupazione dei ministri economici dell’euro zona. Il fiscal compact impone agli Stati di avere bilanci pubblici in equilibrio al netto del ciclo economico: un deficit strutturale che non può superare lo 0,5 per cento del Pil (che può arrivare all’1 per cento per i paesi che presentano un debito inferiore al 60 per cento). Questa semplice regola potrà generare non pochi e ulteriori vincoli di liquidità e porre le basi per un aggravamento della crisi.
Ha senso in una crisi economica invasiva come quella che stiamo vivendo inserire un “divieto” che anziché accrescere il patto sociale fra i popoli europei corre il rischio di rompere gli equilibri interni ai singoli Stati? Le politiche di austerità hanno ridotto o aumentato il rapporto debito/Pil? L’austerità doveva essere un mezzo per aiutare gli Stati a riformare le loro finanze e le conseguenze di politiche molto poco etiche e sostenibili, o doveva servire per eterodirigere gli Stati? Forse l’eccesso di austerità genera, non solo nel breve periodo, l’opposto di ciò che si proponeva. Anziché facilitare le riforme strutturali, attivare buone pratiche di governo, ristrutturare le burocrazie e renderle proattive e risolutive per i cittadini, ridurre o eliminare la corruzione e proporre modalità di governo dei territori vicini alle esigenze della popolazione, un trattato che voleva porre le basi per il futuro dell’Unione potrebbe diventare il più grosso pericolo per la sua stabilità.
Forse ci stiamo avvicinando al punto più basso della crisi, e abbiamo quindi l’opportunità di mettere in campo una reale responsabilità a favore di uno sviluppo che sia realmente sostenibile a partire dall’autenticità e dalla trasparenza delle decisioni politiche, che vanno prese tenendo conto del futuro, ma anche del presente. Il crollo verticale dello spirito pubblico, del rispetto delle istituzioni e del rispetto fra le persone genera vulnerabilità nascoste difficilmente governabili prima del loro esplodere.
La Governance dei ventotto paesi dell’Unione Europea dovrebbe rinnovarsi e non essere più centrata solo sul sistema monetario-finanziario. Sarebbe necessario considerare gli ambiti delle politiche europee nel loro complesso e scegliere di conseguenza il futuro che vogliamo progettare: una strategia capace di rendere l’Europa un “centro” – non troppo periferico – del prossimo futuro, sullo scacchiere internazionale.
L’auspicio di rendere l’Unione un economia intelligente, sostenibile e solidale, passa attraverso la ridefinizione del senso dello stare insieme e per “conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale” è necessario identificare le strade corrette per ottenere più occupazione, innovazione, istruzione diffusa ed integrazione sociale. Senza identità e un senso compiuto e realistico dell’economia e della politica, senza una comunicazione autentica ed inclusiva, senza una reale condivisione degli sforzi dei singoli Paesi in funzione di comuni obiettivi, si allontana la realizzazione dell’Europa.
©Futuro Europa®
Un Commento
Sarebbe ora di introdurre,per le direttive europee,la valutazione di impatto fiscale,simulando le possibili conseguenze.A meno che le conseguenze delle strategie fiscali non siano state previste e programmate,sarebbe il caso di rivederle completamente.