Alessandra Abbado: la musica per il sociale
L’Associazione Mozart14 nasce e si sviluppa come naturale prosecuzione dei progetti sociali ed educativi voluti da Claudio Abbado, eredita e fa proprio il suo messaggio: “la musica è necessaria alla vita: può cambiarla, migliorarla, e in alcuni casi addirittura salvarla” (Prefazione di Claudio Abbado in “La Musica salva la vita. Il “sistema” delle orchestre giovanili dal Venezuela all’Italia” di Ambra Radaelli, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 2012). Mozart14 è la casa di tutti coloro che credono nella potenzialità sociale e socializzante della musica. Essa è un bene prezioso e inesauribile: appartiene a tutti, possiede la forza per farsi vicina a chi si trova in difficoltà, può diventare efficace strumento per costruire una società migliore. Chi riconosce questo potere, chi ne ha anche solo percepito la grandezza, ha il dovere di contribuire a portare la musica ovunque ce ne sia bisogno. In merito a questo progetto, abbiamo intervistato la Presidente Alessandra Abbado, figlia del maestro Claudio, che ci presenta anche il prossimo Concerto del Coro Papageno, l’unica e irripetibile occasione annuale per sentire le voci dei detenuti e delle detenute del Coro, a cui si uniranno i coristi volontari, diretti dal Maestro Michele Napolitano. Il concerto si terrà sabato 26 maggio, alle ore 15, presso la Casa Circondariale “Rocco D’Amato” di Bologna in via del Gomito 2.
Sig.ra Abbado, grazie del tempo e dell’attenzione che dedica a noi ed ai nostri lettori e complimenti per l’attività che svolgete. Come è arrivata ad attivarsi su questo fronte?
Il primo è stato il progetto Tamino, che compie oramai 12 anni, ed è attivo in quattro reparti pediatrici della Clinica Gozzadini del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna: terapia intensiva neonatale, neonatologia, chirurgia ed onco-ematologia. L’altro progetto è il Coro Papageno che nasce nel 2011, primo caso in Italia di coro misto, in carcere le attività miste tra uomini e donne sarebbero vietate.
Vi avvalete quindi di professionisti per svolgere la vostra attività?
Assolutamente, in tutte le nostre attività non facciamo volontariato, sono attività seguite da professionisti e coordinatori del nostro ufficio.
Leporello invece è un progetto che è rivolto ai giovani detenuti?
Leporello si tiene al Pratello, il carcere minorile di Bologna, in questo caso non è un coro, ed è seguito da musico-terapeuti che lavorano con i ragazzi attraverso tecniche di song-writing. Principalmente lavorano sui loro sentimenti, ancora prima di scrivere canzoni o musicarle. Sul nostro sito abbiamo le prime tre canzoni pubblicate su Youtube scritte interamente dai ragazzi, sono il frutto di un anno di lavoro.
Le abbiamo ascoltate, molto belle. Curiosamente lei viene dalla musica classica e loro invece cantano il rap.
Sì, è l’età e il linguaggio dei ragazzi, magari le prossime saranno diverse. Dipende da quello che preferiscono loro, non gli viene imposto né uno stile né tantomeno dei testi.
E il Coro Papageno, invece?
È un progetto musicale caratterizzato dal fatto che i coristi provengono da tanti paesi, per cui la musica ha questa particolarità, di unire diverse estrazioni. Poi magari si fa anche Bach e Mozart, ma non è nostra intenzione fare musica classica a tutti i costi. Ogni genere va bene.
Avete un riscontro sui risultati ottenuti una volta che i detenuti sono fuori dal carcere?
Più che averlo noi, ci sono studi precisi e dati ministeriali che confermano che le attività fatte in carcere, siano esse lavoro in fabbrica, piuttosto che cantare o fare il pasticciere, aumentano di molto la probabilità che i detenuti, una volta conclusa la pena, si inseriscano nella società ed evitino di tornare in carcere. Il Coro Papageno quando si esibisce viene rinforzato da elementi esterni, per cui si stabiliscono connessioni e conoscenze che portano poi, una volta che il detenuto sia uscito dal carcere, che trovi appoggi all’esterno e quindi sia facilitato nel reinserimento.
È molto interessante il fatto che sottolineate come far parte di un coro li inserisca in un lavoro di rapporti di gruppo, aiutandoli quindi ad uscire dall’isolamento ed incrementando i rapporti inter-personali.
La collaborazione nel coro è molto alta, ci fa molto piacere scoprire che lavorano e si allenano anche fuori dalle ore di coro, che sono parte del percorso scolastico in cui sono inserite come lavoro didattico.
C’è stato anche qualche caso in cui chi ha partecipato al coro abbia poi proseguito e lavorato come cantante all’esterno?
Per ora no, ma ci auguriamo che prima o poi capiti qualcuno dotato che ne abbia anche voglia, perché non è una carriera facilissima. È capitato però che alcuni coristi detenuti, una volta usciti, abbiano chiesto ed ottenuto di entrare a cantare in uno dei cori cittadini da cui provengono i coristi volontari del Papageno.
Quindi oltre le attività intra-carcerarie svolgete anche attività negli ospedali. Ho letto anche che collaborate con il Komos Coro Gay di Bologna.
Noi siamo un’associazione di promozione sociale, quindi ci muoviamo in vari ambiti. Tra questi c’è la collaborazione con altre associazioni del territorio come il Coro Komos che quest’anno ha deciso di appoggiarci, permettendoci di presentarci prima dei loro concerti e destinandoci il ricavato delle donazioni liberali che raccolgono durante la loro rassegna annuale (quest’anno realizzata ad aprile). Abbiamo potuto presentare Mozart14 e pubblicizzare le nostre attività al loro pubblico. Komos è un coro molto serio, e magari un giorno che il Coro Papageno potrà uscire a cantare a Bologna lo farà in un evento che accoglierà diverse realtà di musica nel sociale come il Coro Komos.
Con il Coro Papageno affrontate anche i temi del multi-etnico, quindi immigrazione ed aspetti affini. In un momento dove ci sono rigurgiti di intolleranza e si alzano muri, voi agite in senso contrario meritoriamente.
Ogni anno che ricominciamo a settembre, una parte dei detenuti è andata via, questo fa sì anche che ogni nostro concerto sia diverso, quest’anno ad esempio avremo quattro canzoni nuove. Per il resto noi marciamo molto convinti che non devono esserci barriere, lavorando dentro carceri ed ospedali vediamo che le difficoltà ci sono, ma dobbiamo sempre credere nel messaggio portante della musica, nella sua forza di generare rispetto reciproco.
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