Gli apprendisti stregoni
Negoziare, anche aspramente, su un programma comune di governo non è in sé né insolito né illecito. Fa parte delle esigenze e dei rituali della politica, anche di quella buona. Quello che è da condannare è invece il giocare col fuoco, da veri apprendisti stregoni, con gli interessi e col futuro della gente. Ed è purtroppo invece ciò a cui abbiamo assistito in questa settimana da dimenticare. Programmi a dir poco irrealistici, promesse sparate senza copertura, fiere dichiarazioni del tipo “rifare i Trattati europei” e “togliere le sanzioni alla Russia”, senza tener minimamente conto del contesto internazionale a cui siamo legati e che, ci piaccia o no, ci condiziona; fantasma dell’uscita dall’Europa e di una politica dei debiti, incuranti degli interessi di centinaia di migliaia di risparmiatori.
I primi risultati velenosi: rialzo dello spread, crollo dei titoli in borsa, allarme in Europa. Fanno presto i vari Salvini e Di Maio a beffarsene e a ritirare fuori lo spettro stantio della “congiura dei mercati”. Il danno lo pagheremo tutti noi. Pochi punti in più dello spread significano tassi d’interesse più alti, che pagheremo noi attraverso il prelievo fiscale, e andranno ad aumentare il debito pubblico già enorme. Ma che importa a Salvini? Per lui quello che conta è cacciare gli immigrati e chiudere i campi Rom; probabilmente è d’accordo con l’incredibile Trump che definisce gli immigrati “animali”.
Una perla del programma è l’attacco alle pensioni d’oro. In sé, niente di inedito, ci aveva già provato Monti, bloccato poi dalla Corte Costituzionale che difese i “diritti acquisiti”. Il punto assurdo è che nel programma si qualificano “pensioni d’oro” quelle superiori ai 5.000 euro netti. Sono diecimila, a quanto pare, i privilegiati. Confesso vergognandomene di farne parte. Ho lavorato 43 anni della mia vita, ho dato al mio Paese tutte le energie e tutte le capacità di cui disponevo, ho pagato i contributi corrispondenti senza discutere e, al mio pensionamento (2001) la pensione, di poco superiore a 5000 euro, non è aumentata di un soldo (in realtà, è diminuita di qualche centinaio di euro, senza contare l’effetto, sia pur minimo, dell’inflazione). Bastano pochi calcoli semplici semplici per concludere che è appena il necessario per vivere in modo decoroso (senza alcun lusso); e Di Maio e compagnia la chiamano “pensione d’oro” confondendola con quelle, veramente d’oro, di certi dirigenti privati e anche pubblici.
Ringraziamo Renzi e accoliti per aver bloccato la sola soluzione ragionevole, un accordo PD-5 Stelle e stiamo a vedere come finisce questo indigeribile pasticcio. Sperando ormai solo nella saggezza e autorevolezza del Presidente Mattarella, perché voglia e possa mettere un argine a tante follie.
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Un Commento
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E’ vero, è sacrosanto: sono le relazioni internazionali a definire l’identità degli Stati, come di ogni cosa e persona, oggi. Ma proprio per questo mi chiedo se, in quanto ‘nodo di relazioni’ non meno della Francia o della Germania, l’Italia non abbia il diritto di affermare la propria identità politica – originale, lo abbiamo imparato bene, ma come lo sono tutte – con altrettanta decisione. E se, come fanno nei confronti dei propri politici tutti i nostri concittadini Europei, non si debba accordare primariamente fiducia ai nostri politici, che siano da noi votati oppure no, e vagliare attentamente le voci che dall’esterno giudicano la politica del nostro Paese – e le loro fonti, e le loro ragioni. In tal modo vivendo, nella nostra valutazione politica, la Cittadinanza Italiana ‘con senso delle Istituzioni’, per così dire.
Questo non significa perdere di vista il merito del ‘discorso politico’ a presunto vantaggio del ‘parlante politico’. Proprio il non nuovo allarme-spread ne è una prova. Ricordando infatti, insieme a milioni di Italiani, quanto accadde nel 2011, mi interrogo oggi col distacco che deriva dall’esperienza, sul rinnovato allarme-spread appunto, in coincidenza con la formazione del Governo – che, ci piaccia o no, deriva dalle nostre Elezioni e sarà il nostro Governo.
Ora, accade che, venuto allora all’onore delle cronache ed entrato nell’immaginario di tutti, lo spread non sia scomparso dalla memoria degli Italiani, ma sia stato, in tutti questi anni, ‘osservato socialmente’; perché mentre i quotidiani ‘bruciano’ le notizie, le persone invece riflettono e osservano, per anni, per decenni. Così, lo spread è stato osservato, nonostante nel frattempo non sia più emerso nelle prime pagine. Per motivi di spazio, lo sappiamo, le notizie che emergono in prima pagina sono una parte infinitesimale dell’informazione globale; ma problemi di spazio, la Memoria non ne ha. C’è poi da dire un’altra cosa: che la connessione tra fatti di per sé eterogenei, come la politica di un Paese e lo spread, a volte non è una ‘necessità’; può tuttavia essere una prassi di ipotesi utilizzata dal giornalismo a scopo euristico. Un artificio che però non sempre rivela una connessione reale tra i fatti giustapposti, se col tempo e alla luce dei fatti, l’ipotesi ‘necessaria’ non si dimostra. Per esempio, nel maggio 2017 lo spread ha toccato i 200 punti, ben più dei 164 di oggi: senza alcuna connessione con la situazione politica di allora, stabile e orientata ai mercati; e senza ottenere alcuna prima pagina in merito. Qui si apre però un ulteriore problema: se lo spread è un fattore critico, ed in quei giorni era giunto ad un livello così alto, perché allora non si è alzato l’allarme di oggi, o del 2011? Solo perché in quel momento non era euristicamente utile alcuna relazione fra il livello dello spread e quella particolare situazione del Governo Italiano? Dico allora una cosa che dicono tutti, una ‘vox populi’ che non per questo ritengo meno valida: perché, invece di cercare una connessione politica che come si vede non è sempre presente, non parlare dello spread evidenziando la ben più ‘necessaria’ connessione tra la sua eventuale oscillazione ed i fattori monetari che possono determinarla?