Cronache dai Palazzi

Il contratto “per il Governo del cambiamento” di 39 pagine è stato scritto, ma è ancora buio per quanto riguarda la premiership. “Né io né Di Maio”, ha dichiarato il leader leghista Matteo Salvini. “Sono molto fiducioso, creata la base del governo il premier non sarà un problema”, è stata invece la risposta di Di Maio, a Monza per sostenere la causa di un imprenditore “fallito per colpa dello Stato”. In un tale contesto il leader pentastellato ha ricordato il dramma provocato dal problema lavoro, per cui vi sono migliaia di persone in difficoltà. “Speriamo che da qui possa partire un messaggio per tutta l’Europa”, ha affermato Di Maio, dato che “ci sono tante persone che soffrono in tutta Italia imprenditori, dipendenti disoccupati e che queste persone vengono prima di tutto”.

Nel frattempo, a proposito di antiche questioni, Silvio Berlusconi è tornato a parlare del governo, affermando: “Sul nostro ruolo, nel caso in cui dovesse avverarsi un governo Lega-M5S, “non ci sono dubbi: ne resteremo fuori e non lo sosterremo, se non su singoli punti, se vi saranno, che riterremo utili per il bene degli italiani”, queste le parole del leader forzista in un’intervista rilasciata al settimanale valdostano Gazetta Matin.

“Attendiamo di capire di cosa di stia parlando”, ha dichiarato invece Giorgia Meloni leader di Fratelli d’Italia che ha aggiunto: “Non partecipiamo a ‘scatole chiuse”. La prima questione è conoscere il presidente del Consiglio”. In pratica no ad un governo con una guida a cinque stelle.

Si teme comunque che l’inizio senza capitano non sia un buon presagio, il timone è ancora libero e la barca potrebbe sbandare mettendo a rischio l’equipaggio. Il presidente della Repubblica vigila a sua volta sul da farsi e anche sui singoli punti che rappresentano la sostanza del contratto di governo, preservando per l’appunto il rapporto con l’Europa e il rispetto dei trattati internazionali. Lega e M5S sono forze che hanno vinto le elezioni del 4 marzo separatamente e che insieme riescono ad ottenere una certa maggioranza dei seggi, ma non sono forze che hanno un progetto politico comune fin dall’inizio. Sono in definitiva due forze politiche diverse che stanno tentando di costruire una casa comune per dare un nuovo governo agli italiani, e la casa dovrebbe essere abbastanza solida tale da non cadere giù di fronte alle prime scosse.

I temi caldi sono diversi: Cie (sedi di permanenza temporanea per il rimpatrio), dovrebbe essercene uno in ogni regione; immigrazione e rimpatri per cui esplicitata la “garanzia per la tutela dei diritti umani” viene anche sottolineato che “il trattenimento deve essere disposto per tutto il tempo necessario ad assicurare che l’allontanamento sia eseguito in un tempo massimo di 18 mesi”. La Lega imprime poi la sua visione per cui il contratto prevede “procedure accelerate e/o di frontiera.. per la verifica del diritto allo status di rifugiato o per la sua revoca”. A proposito di rimpatri si fa comunque riferimento ai “diritti costituzionalmente riconosciuti”.

Ed ancora lavoro e legge Fornero; flax tax; rapporti con l’Ue, euro e politica monetaria non più definita “unica”, salta l’aggettivo; la spesa in deficit, il superamento dell’equilibrio di bilancio; le grandi opere e i lavori per l’Alta velocità (Tav) che non verranno sospesi però viene specificato: “Sì Tav, ma diversa”, per cui Movimento Cinque Stelle e Lega si impegnano “a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia”. Nulla di fatto invece per la proposta di rendere gratuito l’asilo nido anche agli stranieri residenti in Italia da almeno 5 anni. È prevalsa la limitazione leghista “prima gli italiani” e quindi asilo gratuito solo per i connazionali. Ancora dentro la riforma della prescrizione mentre il condono, o “pace fiscale”, risulta quasi abbandonato.

Tra le tante anche la proposta di rivedere il vincolo di mandato, uno strumento che mira a garantire l’indipendenza dei parlamentari ma che dovrebbe essere riformato per “contrastare il crescente fenomeno del trasformismo”.

Ciò che manca in maniera vistosa è la risoluzione del debito, ossia un progetto per soddisfare la richiesta della Banca centrale europea di tagliare 250 miliardi di euro di debito pubblico italiano. Ed anche se non è computata l’uscita dall’euro, compare comunque la proposta di ridiscutere i trattati europei.

Sul fronte della politica estera gli Usa sono ritenuti come sempre “alleati privilegiati” ma, nel contempo, viene esplicitato “l’immediato ritiro delle sanzioni imposte alla Russia da percepirsi non come un pericolo ma come un partner commerciale privilegiato”.

Sul fronte interno è stato introdotto il reddito di cittadinanza che dovrebbe partire dal 2019 ed avere una scadenza di due anni, ma per ottenere suddetto il reddito non si potranno rifiutare più di tre offerte nell’arco di un biennio. Per quanto riguarda le pensioni dovrebbe entrare in vigore la cosiddetta “quota 100”, ossia la possibilità di lasciare il mondo del lavoro quanto si arriva a 100 sommando età anagrafica e anni di contributi versati. Una manovra che costerebbe circa 10 miliardi ma nel contratto Salvini-Di Maio ne sono previsti solo 5  e gli altri 5 non risulterebbero coperti nemmeno dal possibile intervento previsto sulle pensioni d’oro in quanto le cosiddette “pensioni d’oro”, quelle superiori ai 5 mila euro netti, costano circa 1,8 miliardi di euro l’anno, sono solo 10 mila e di certo non possono essere azzerate.

Il contratto di governo prevede inoltre una pensione di cittadinanza a chi vive al di sotto della soglia minima di povertà, una specie di aumento delle pensioni minime. La flax tax, infine, su due aliquote, 15 e 20  per cento, ne sono destinatarie anche alle imprese ed avrebbe un costo di circa 26 miliardi di euro, una parte dei quali dovrebbe essere recuperata in virtù di un previsto aumento dei consumi, molto probabilmente incoraggiati proprio dal taglio delle imposte. Un effetto che potrebbe avverarsi ma la cui certezza non può comunque essere messa nero su bianco. L’unica certezza è lo stop all’Iva il cui aumento dovrebbe scattare a gennaio, come previsto dalle clausole di salvaguardia. Si legge di un eventuale “recupero di risorse derivanti dal taglio agli sprechi” senza però precisare quali sono gli sprechi da eliminare. Resta poi la “gestione del debito” per cui viene avanzata la proposta di non conteggiare nel rapporto con il Pil i titoli acquistati dalla Bce, bensì “attivandosi in sede europea”, quindi in tempi non rapidi. Per quanto riguarda la spesa resta ferma la “programmazione pluriennale” ma “attraverso la ridiscussione dei Trattati dell’Ue e del quadro normativo principale”. Escluso comunque ogni tipo di atto unilaterale.

Di sicuro il prossimo governo che i leader Di Maio e Salvini stanno delineando non si può definire un governo di centrodestra né tantomeno di centrosinistra. È un esperimento del tutto nuovo che sembra avere come collante l’insofferenza verso il già fatto, il già sperimentato, e quindi i legami tradizionali o le tradizionali dinamiche di partito. Sul piano degli equilibri e dei rapporti di governo il contratto Salvini-Di Maio mette infine, nero su bianco, l’impegno “a non mettere in minoranza l’altra parte in questioni che per essa sono di fondamentale importanza “. Di concerto risulta “sgonfiato” il Comitato di conciliazione, ossia l’organismo extra costituzionale costituito per risolvere le liti in all’interno del Cdm. Con la suddetta clausola Lega e M5S si impegnano, nella pratica, a non mettersi i bastoni tra le ruote.

In definitiva le misure previste dal patto Salvini-Di Maio costerebbero oltre 65 miliardi di euro l’anno.

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