L’Italia e Macron
Nei giorni scorsi, il Presidente francese Macron aveva fatto un passo falso, commentando in modo negativo e scarsamente rispettoso la formula di governo che andava delineandosi in Italia. Ora, da persona intelligente e sensata, ha cambiato linea, facendo dire ai suoi portavoce che è impaziente di lavorare col nuovo Presidente del Consiglio italiano.
Tra due Paesi soci e alleati, vicini per tante ragioni, questo sembrerebbe ovvio, ma non è così. Capacità di aprirsi al dialogo senza pregiudizi è una dote meno diffusa di quello che si crede. Richiede pragmatismo (questo, a torto poco considerato, antidoto alla chiusura ideologica e al fanatismo) e Macron ha dimostrato largamente di essere pragmatico, trattando con Trump, dal quale lo separa un abisso intellettuale e politico. Col duo lego-grillino le differenze, specie in materia di Europa, sono certamente profonde. Però Macron è lungi dall’essere un sostenitore incondizionale e acritico dell’attuale stato di cose europeo. Ha riaffermato in modo indiscutibile il suo fermissimo europeismo, ma ha anche avviato un processo di revisione e riforme in seno all’Unione che, se la Merkel è d’accordo, dovrebbe cristallizzarsi a partire del Consiglio Europeo di fine giugno. In questo processo, l’appoggio italiano può essere di grande importanza (anche tenuto conto dell’appannamento della Spagna, presa dai suoi problemi interni e comunque mai determinante). Un “asse latino” avrebbe certamente più forza di posizioni isolate. È possibile stabilirlo? Francia e Italia hanno, a ben guardare, interessi e situazioni reali abbastanza simili: alto debito, legislazione del lavoro e sociale complessa, tendenza mai veramente vinta al protezionismo. Ma se alla Francia la sponda italiana sarà utile, per l’Italia, se vuole condurre una politica sensata e non populisticamente declaratoria, la sponda francese è essenziale.
Il nuovo governo italiano, e in particolare il nuovo Presidente del Consiglio, è dunque davanti ad una scelta, se inoltrarsi in una politica di rabbiosa ostilità a tutto quanto è europeo, o se operare assieme alla Francia e ad altri per ottenere dall’Europa quei vantaggi che da tempo le spettano. Ciò però presuppone un ancoraggio fermo e non dubbio al quadro europeo, altrimenti nessuno ci darà una mano. Si tratta di una strada stretta, di un equilibrio difficile. Speriamo che i partiti della maggioranza lascino il Premier condurre l’azione necessaria, come egli stesso ha promesso nelle sue varie dichiarazioni (interessante, parlando di Europa, il suo accenno alla ricerca di “opportune alleanze”). Dopotutto, egli si presenta come un internazionalista, di casa a Parigi, Vienna, New York e altri luoghi.
Bisognerà anche poter contare sulla nostra diplomazia, che è preparata e capace. So bene, per lunga esperienza, che il ruolo di un Ambasciatore non basta di per sé ad assicurare il successo, ma anche che esso può essere utilissimo e, in certi casi, persino determinante.
Buon lavoro dunque alla nostra Ambasciatrice a Parigi, la bravissima Teresa Castaldo, che ha fatto le sue prove a Buenos Aires (e non si creda che fosse una situazione facile e poco rilevante). Dovrà fare da ponte tra estremi quasi opposti, limare asperità, spiegare agli uni e agli altri quella che sarà, magari e di volta in volta, la semplice ragionevolezza.
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