Il governo al lavoro

Con la fiducia delle Camere, il Governo è ormai nella pienezza delle sue funzioni e deve mettersi ora seriamente al lavoro, non con sparate retoriche alla Salvini, ma con atti concreti. Il discorso programmatico del Premier mi è parso di buon spessore culturale e da condividere in molte delle sue analisi, specie su quella relativa al superamento delle categorie tradizionali di destra e sinistra. Viviamo senza dubbio in un’epoca postideologica. Per chi  ha sempre fatto del centro e della sintesi le sue regole di pensiero, non è una cattiva notizia. Anche quella che qualcuno ha definito “difesa del populismo” non mi sembra dover sollevare scandalo. Conte ha voluto dare un’accezione del populismo benigna e indiscutibile, lontana dalla realtà con cui il vero populismo di manifesta.

Per il resto, il programma è stato piuttosto un catalogo di buone intenzioni, certo tutte apprezzabili, ma necessariamente di carattere generale, se non generico. Le critiche delle opposizioni mi sono parse un po’ fuori centro, compresa quella di Matteo Renzi; la sola meritevole di attenzione è quella implicita nell’ammonimento di Mario Monti, il quale ha fatto benissimo a rivendicare l’opera sanatrice e salvatrice del suo governo, così sguaiatamente contestata dalla Lega di allora e così stupidamente rimessa in questione ora, secondo una moda ingiusta e ingenerosa. Dove saremmo ora se il Governo Monti non avesse voltato le spalle alla demagogia populista e scelto la via difficile e impopolare dei sacrifici necessari per salvarci dalla sorte greca? Quanto agli obiettivi enunciati, si è  rimproverata l’assenza  di indicazioni di copertura finanziaria. Ma non ci si poteva aspettare che il Presidente del Consiglio entrasse nei dettagli di tutte le iniziative proposte. La sede per farlo non è in un discorso programmatico, ma legge per legge, iniziativa per iniziativa, nelle Commissioni e poi nelle aule parlamentari e nelle concertazioni sociali.  E il Capo dello Stato ha costituzionalmente ampia facoltà di frenare e correggere spese senza copertura.

Ma, passata la fase delle enunciazioni di principio, il Governo è nella pienezza delle sue funzioni , ha una maggioranza ampia in Parlamento, il clima nel Paese è di aspettativa non ostile, l’opposizione è in evidente difficoltà ed è divisa in gruppi incompatibili tra loro. Diverso è il discorso se si ha riguardo  ad altri poteri, non i mitici “poteri forti”,  ma quelli concreti e reali rappresentati dal Sindacati e dalle Associazioni imprenditoriali. È soprattutto di fronte ad essi, e alla generalità dei cittadini, che Conte e il suo governo dovranno dimostrare di saper realizzare le mete che si sono poste senza distruggere le finanze pubbliche e mettere in pericolo i risparmi dei cittadini e il benestare delle future generazioni. Non è impresa da poco. Vediamo cosa sapranno fare.

Un’attenzione speciale merita la parte dedicata da Conte alle alleanze e all’Europa. Sulle prime, è ovviamente benvenuta la confermata fedeltà all’Alleanza Atlantica. Non credo che essa sia in contraddizione necessaria con una certa apertura alla Russia, purché essa avvenga a occhi aperti e senza slanci ingenui. Con Putin è giusto trattare, concedendogli rispetto e attenzione, ma tenendo sempre presente con chi si ha a che fare. Piuttosto, è da vedere se e come reggerà la solidarietà atlantica alle guerre commerciali di Trump contro l’Europa, su cui da parte del governo e dei due partiti di maggioranza vi è stato finora silenzio assoluto.

Quanto all’Europa, affermare che essa è “la nostra casa” va bene. E va bene dichiarare di volerla più forte e più equa. Chi può volere altra cosa, salvo una pattuglia di esaltati lepeniani che l’Europa vorrebbero abolirla. Si tratta di vedere come mantenere il giusto equilibrio tra fedeltà e riformismo, in modo da essere promotori  di un cambiamento non caotico, non conflittuale, non fine a sé stesso. Per questo, chi ha vissuto da dentro le istituzioni comunitarie, sa che  servono fermezza, realismo e un senso chiaro e sicuro di come funziona il sistema. Conte ha alluso a una telefonata con la Merkel e in precedenza aveva parlato di una comunicazione con Macron. Questa è la strada giusta, quella che deve reinserirci utilmente come attori del cambio, non le velleità di intesa con Orban, il cui peso è minimo e che, tra l’altro (non se n’è accorto Salvini?), assieme al gruppo di Visograd ha interessi e vedute esattamente opposti a quelli italiani.

Sul fronte europeo ed atlantico, il Governo sarà chiamato nelle prossime settimane a prove impegnative, da cui si capirà cosa sa fare. Mi auguro che l’esperienza di Enzo Moavero serva a indirizzarne l’azione sulla strada della ragione e dell’efficacia.

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