Il Manifesto di Port Huron

Tutto iniziò con Jack London, e finì nel 1969. Sembra la trama di un film o di un romanzo proprio dell’autore di Martin Eden e del Richiamo della foresta, ma può bene essere la sintesi dei movimenti studenteschi. Le idee nascevano sicuramente da lontano, vale a dire dai primi anni del 900 quando sorsero la Lega per la democrazia industriale e il suo settore studentesco (S.D.S. Students for a Democratic Society), movimento radicale di stampo socialista che rivendicava diritti civili e democrazia diretta. Ma probabilmente i tempi non erano ancora maturi e le successive guerre mondiali, oltre quella di Corea, impedirono il pieno sviluppo del movimento e di idee che comunque restavano valide.

Gli anni 50, quelli in cui venivano messe la basi del successivo boom economico in Italia, della rinascita dell’economia tedesca, dell’escalation della guerra fredda, furono negli Stati Uniti quelli caratterizzati anche da una nuova generazione di giovani, incarnata dal James Dean di Gioventù bruciata (ma il titolo originale Rebels without a cause rende molto meglio l’idea), che male si identificava nel sistema ereditato dai loro padri, fatto di stereotipi e conformismo.

L’ansia, la voglia di crescere, di partecipare, di poter dire la propria opinione crescevano. Nasce la Beat Generation e On the Road di Kerouac diventa un manifesto e uno stile di vita. Ma non tutti si possono definire ribelli e così nella tarda primavera del 1962 un gruppo di studenti (in una cittadina del Michigan) si riunì per parlare di diritti civili e partorì il Manifesto di Port Huron.

Si trattava di giovani figli della piccola borghesia, non certo di classi particolarmente ricche oppure disagiate. Era un momento in cui vigeva ancora la segregazione razziale e martin Luther King non aveva ancora tenuto il suo celebre discorso “I have a dream”. Le proteste degli anni successivi e i movimenti di massa erano ancora lontani e la guerra in Vietnam neppure un’ipotesi, ma i giovani di Port Huron, tra cui spiccava la personalità di Tom Hayden, presero atto della situazione in cui stavano crescendo e, con ottica quasi lungimirante e critica, di quella degli Stati Uniti.

Con uno stile che ricorda quello della Dichiarazione di indipendenza, i giovani studenti prendevano atto che avrebbero ereditato un mondo che aveva la bomba atomica e i razzi che stavano portando l’uomo sulla luna, ma che esisteva ancora la voglia di emancipazione. Certamente si rendevano conto di essere dei privilegiati, vivendo in un paese con risorse alimentari ed economiche superiori a quelle di paesi in cui le condizioni erano ben diverse e sfavorevoli e avevano considerato anche l’incremento demografico a livello mondiale. Ma dai loro dormitori universitari, dove recepivano una cultura e un sapere di odore antico e fuori luogo ormai con i nuovi contesti sociali, dichiaravano la loro opposizione al razzismo, e ciò nel momento in cui i primi anni della presidenza Kennedy, che peraltro fu quella che portò alla guerra del Vietnam e prima ancora all’episodio della Baia dei Porci, in cui si parlava di Nuova Frontiera.

Il Manifesto di Port Huron, che parla di “new left” è un documento estremamente complesso, fatto di istanze di partecipazione, di sogni, forse di Utopie, ma anche di visioni del futuro che la maggioranza della società del momento forse non voleva vedere, fermandosi nella situazione di benessere che si era creata negli oltre quindici anni che erano trascorsi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e da quella di Corea che era lontana dai confini Statunitensi e non ebbe il coinvolgimento totale come quella precedente.

Negli anni successivi si svilupparono i movimenti di disobbedienza e i raduni di giovani, molti dei quali neppure avevano letto il documento ma si lasciavano trasportare dalla corrente delle proteste, della fantasia e dei colori di quegli anni, accompagnati magari dalla musica di Bob Dylan e Joan Baez. Ma alla base di quelle idee restava una dichiarazione di principi che dovrebbe essere oggi riletta con occhi nuovi e adattata ai nuovi contesti che caratterizzano il nuovo villaggio globale. Siamo lontani da un’epoca in cui restavano le ultime tracce del colonialismo e vigeva l’apartheid, eppure sono solo poco più di cinquant’anni.

Gli studenti che si dichiaravano per una società democratica concludevano la loro dichiarazione con l’impegno a stimolare un movimento sociale per il cambiamento e, probabilmente, parte dei loro sogni si è avverata. Oggi le loro idee dovrebbero essere rilette a riportate ai nuovi contesti, in cui non esistono gli stessi contesti sociali, ma permangono le stesse istanze.

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