Dogman (Film, 2018)
Bravo Matteo Garrone che con il noir ci sa fare, anche in tinte drammatiche, come aveva dimostrato di saper gestire tutto l’armamentario del fantasy arricchito di varianti horror ne Il racconto dei racconti. Per quanto ci aveva deluso Gomorra sorprende in positivo Dogman, una storia liberamente ispirata – ormai l’hanno detto tutti – alla turpe vicenda del canaro della Magliana. Il regista mette in scena il rapporto dominato-dominante, tipico di alcune coppie criminali, tra Marcello – mite proprietario di un negozio per cani, piccolo spacciatore e ladruncolo – e Simone, violento energumeno che semina il terrore nel quartiere.
Il film è ambientato nella periferia degradata di Roma, vorrebbe far pensare al lungomare di Ostia, ma viene girato a Villaggio Coppola, nel golfo di Gaeta, una piccola frazione di Castelvolturno. Perfetta location per mettere in scena sequenze di vita marginale, piccoli furti, spaccio di droga, luoghi equivoci, ambienti malsani e pieno degrado. Il film è impaginato con sequenze rapide, procede in un crescendo angoscioso, arricchito da una fotografia cupa e tormentata, tra notturni piovosi e squallore. Le situazioni narrate sono al limite del sopportabile per uno spettatore debole di stomaco e il divieto ai minori di anni quattordici ci sta tutto. Molta violenza esibita – mai gratuita ma funzionale alla storia – e ottima la caratterizzazione dei personaggi, al punto di far pensare a una sorta di neorealismo contemporaneo più che al vecchio cinema di genere.
Marcello è un uomo debole, spaventato dal mondo, ama i cani con tutto sé stesso, vive un legame stretto con la figlia mentre è separato da una moglie con la quale non ha rapporti. Simone è un bruto senza cuore, sfrutta l’amicizia del canaro, fino a metterlo nei guai per un furto con scasso ai danni di un negozio del quartiere che costa all’amico un anno di galera e l’odio di tutto il rione. La vendetta di Marcello per essere stato raggirato e non pagato del dovuto sarà terribile ma non raggiungerà gli eccessi di quanto messo in atto dal vero canaro della Magliana. Non sveliamo altro per non togliere il gusto della visione di un film insolito in un asfittico panorama italiano composto da anonime commedie e fiction televisive.
Marcello Fonte merita il premio vinto a Cannes, è un attore naturale preso dalla strada che Garrone impiega in un ruolo complesso, guidandolo con cura pasoliniana. Non è da meno il cattivo Edoardo Pesce, persino eccessivo nella caratterizzazione del perfido criminale, pure lui meritevole di considerazione critica. Regia impeccabile, tra primissimi piani, soggettive, carrelli e suspense realizzata con l’uso della macchina a mano e delle riprese concitate nei momenti di maggior tensione. Uno straordinario finale che segue una cupa parte onirica, vede un poetico primo piano di Marcello, accanto al suo cane, seduto in una panchina di marmo di una piazza vicino al mare, al centro di un’angosciosa realtà degradata. Tutto è stato inutile, in fondo. Imperdibile.
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Regia: Matteo Garrone. Soggetto e Sceneggiatura: Ugo Chiti, Massimo Gaudioso, Matteo Garrone. Fotografia: Nicolaj Brüel. Montaggio: Marco Spoletini. Musiche: Michele Braga. Scenografia: Dimitri Capuani. Costumi: Massimo Cantini Parrini. Produttore: Matteo Garrone, Jean Labadie, Jeremy Thomas, Paolo Del Brocco. Produttore Esecutivo: Alessio Lazzareschi. Case di Produzione: Archimede, Le Pacte, Rai Cinema. Paesi di Produzione. Italia/Francia. Distribuzione: 01 Distribution. Genere: Drammatico. Durata: 102’. Interpreti: Marcello Fonte (Marcello), Edoardo Pesce (Simone), Alida Baldari Calabria (Alida), Nunzia Schiano (madre di Simone), Adamo Dionisi (Franco), Francesco Acquaroli (Francesco), Gianluca Gobbi (commerciante), Aniello Arena (commissario).
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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]