Camera di Consiglio
Quando è legittimo uccidere un animale? Quali sono i presupposti di una decisione così drastica? Affronta il problema la Suprema Corte di Cassazione in una recentissima decisione con la quale, confermando la sentenza della Corte d’Appello, ha condannato il Dirigente del Servizio Veterinario di una Asl ed un dipendente della stessa per aver cagionato la morte di nove cuccioli con crudeltà e senza necessità. Essi, avendone ricevuto la richiesta da un soggetto qualificatosi come proprietario degli animali, valutata la impossibilità di ricoverarli nel canile e ritenuta la pericolosità (peraltro ipotetica) del randagismo per la sicurezza e la diffusione di malattie, decidevano di sopprimerli ritenendo sussistere i presupposti della necessità.
La norma incriminatrice è l’art. 544 bis del codice penale che punisce con la reclusione da quattro mesi a due anni “chiunque, per crudeltà o senza necessità cagiona la morte di un animale”. Le questioni affrontate sono sostanzialmente due la rilevanza dell’effettiva qualifica di proprietario del richiedente la soppressione e la individuazione dei presupposti per la soppressione stessa.
Sul primo punto si è ritenuto del tutto irrilevante detta qualifica, in quanto il Servizio Veterinario, al fine di procedere legittimamente all’uccisione, non ha bisogno di averne una specifica richiesta da parte del proprietario, ma procede autonomamente ricorrendone i presupposti.
Ed i presupposti, dati dalla legge quadro regionale ed anche dalla semplice applicazione dell’art.54 c.p. (che giustamente stabilisce non essere “punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”), sono dati da una situazione di grave malattia, incurabilità o grave pericolosità dell’animale, condizioni queste non sussistite, o comunque non provate, nel caso di specie.
Gli imputati, quindi, sono stati ritenuti colpevoli in quanto lo stato di pericolosità era stato valutato a seguito di considerazioni meramente ipotetiche e non giustificabili concretamente, dato che i cuccioli erano in buono stato di salute, custoditi da volontari e difficilmente poteva ipotizzarsi la minaccia per l’incolumità di persone o cose nel caso in cui fossero sopravvissuti.
Plaudiamo alla decisione della magistratura.
©Futuro Europa®
[NdR – L’autore dell’articolo, avvocato, è membro del “Progetto Mediazione” del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma]