La Lega millenaria
Matteo Salvini è in piena escalation. Parla non da Ministro, ma da Capo assoluto del Governo; a Pontida ha giurato che la Lega governerà per trent’anni. È più modesto di Hitler, che profetizzava il Reich millenario. Sono comunque dieci in più di quelli che riuscì a governare il Fascismo e più del doppio di quelli che furono dati al Nazismo.
Insomma, quello che si promette agli italiani è un Regime dell’era dei tweet (Giorgetti l’ha detto: “non abbiamo opposizione”). Da estendere a tutta l’Europa creando una “Lega delle Leghe”, che metta insieme Salvini, Orban, Kurz, Marine Le Pen, Nigel Farrage, i neonazi tedeschi, olandesi, fiamminghi, con un po’ di CasaPound e col sorridente appoggio di Donald Trump e ovviamente di Putin. Il tutto assortito da dichiarazioni di bontà e amore universale, certamente in buona fede (Salvini non è Hitler): noi non odiamo nessuno, i porti si chiudono per salvare le vite dei bimbi in mare, la Lega universale darà felicità e sorriso ai popoli europei. Chi non vorrebbe un mondo così? Solo che poi vengono la censura del pensiero, i lager e i conflitti in nome di nazionalismi che, prima o poi, non possono che scontrarsi tra di loro. Voglio credere, anzi sono convinto, che è difficile che questo accada nell’Italia del XXI Secolo e coi protagonisti attuali delle nostra vita pubblica. Dopotutto, niente nella realtà quotidiana leghista prefigura una vocazione autoritaria e le moltitudini che seguono Salvini sono composte da brava gente. Il pericolo è che gli eventi prendano la mano, superino le intenzioni iniziali magari ottime, perché entrano in gioco la vertigine delle folle plaudenti, l’illusione dell’onnipotenza e magari la tentazione di superare gli ostacoli con scorciatoie pericolose.
È possibile tornare alla ragione? Le famose élites liberali (quelle che Salvini promette di battere alle elezioni europee del 2019) sono sconcertate, sulla difensiva, non hanno mai capito il fenomeno e continuano a non capirlo. Sono ridotte a sperare che le cose vadano male per l’economia, l’occupazione e la stessa immigrazione, in modo da smentire le promesse leghiste. Cosa che nessuno può augurarsi, se tiene al proprio Paese. La grande industria, come la grande finanza, cercheranno di mettersi d’accordo col potere, come hanno sempre fatto. Sinistra e PD hanno avuto il loro momento durante la fase seguita al 4 marzo e lo hanno mancato. Ora sono ridotti all’insignificanza e i vari Bersani, D’Alema, Grasso, Boldrini, possono solo congratularsi per aver spianato la strada al nemico per il gusto perverso di abbattere il mostro Renzi. E i sindacati? La ponderosa e pensosa signora Camusso è capace di schierare le sue truppe contro il Governo? E dove sono più queste truppe, in un Paese che ha preferito il populismo di destra a quello di sinistra? Berlusconi e la sua sparuta corte sono ridotti a una patetica caricatura di sé stessi. Mattarella, con un governo e una maggioranza nella pienezza delle loro funzioni, può fare poco o nulla. Quanto a Conte, c’è solo da augurarsi che riesca a mantenere un precario equilibrio e una certa dignità, ma non gli sarà facile.
Alla fine, tocca sperare che in Salvini prevalgano realismo, buon senso e autolimite, quelli che un uomo politicamente astuto, che non è e non può essere un dittatore, deve avere. E poi restano i 5 Stelle. Tra di loro c’è gente come Roberto Fico e lo stesso Di Maio che nell’insieme ragiona. Fino a quando accetteranno di fare da figuranti nel coro leghista, non è chiaro. Qualche segno d’insofferenza c’è, ma è presto per dire quanto conti realmente.
Eppure, mettere un freno agli eccessi dell’immigrazione è necessario. Questo Governo ha la possibilità di farlo, ma con un programma organico e coerente, d’accordo con i partner europei che contano sul serio, senza minacce e insulti. Su questo fronte, è da augurarsi di tutto cuore che Salvini e il Governo riescano e che l’Europa capisca che questo tema è ormai il test case reale della tenuta di quell’integrazione che, ripetiamocelo sempre, rappresenta la più grande impresa ideale, la maggiore conquista dei popoli europei nel dopoguerra.
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