Il Papa e le migrazioni
Nella sua omelia di venerdì scorso, Papa Francesco ha rivolto un accorato appello alla solidarietà e all’accoglienza verso i più poveri e diseredati. Ha denunciato, in astratto, l’indifferenza e la disumanità, ma non ha rivolto critiche dirette a nessun governo. Come potrebbe? Sono molti i governi, anche di Paesi cattolici, che stanno adottando una linea dura in questa materia e la Chiesa non può ostilizzarli tutti. Ma credo che il Papa farà capire, presto o tardi, più chiaramente chi e cosa ha in mente. Difendendo gli umili e gli sfortunati, il Pontefice ha agito nel pieno rispetto e applicazione dei principi del Vangelo, quelli veri, non le ossessioni sul sesso, che sono veramente alla base della predicazione cristiana. Doveva farlo, l’ha fatto, lo farà certo di nuovo in futuro.
Ma purtroppo la questione non è così semplice. Può spiacere la durezza di un Salvini, ma il problema non si risolve, e neppure si affronta, coll’appello alla solidarietà o alla carità personale e collettiva. Non si tratta di casi, numerosi ma comunque minoritari e gestibili dalle società ricche dell’Occidente, ma di un fenomeno epocale che ha bisogno della politica, quella che deve saper guardare al di là delle beghe quotidiane e verso il futuro
Né si può liquidarlo con statistiche che si vogliono rassicuranti, come se il fenomeno fosse in via di sparizione. Ha cercato di farlo il sopravvissuto D’Alema, non senza una certa supponenza, pur dovendo ammettere che, al di là dei fatti, conta la loro percezione da parte della società (poi ha biecamente accusato la stampa e la TV di dare troppo rilievo alle notizie su sbarchi e naufragi, come se si trattasse di trascurabili banalità). Credo sia sempre più chiaro che la percezione delle società occidentali è al limite. Altrimenti non si spiegherebbe il successo diffuso dei partiti di estrema destra. D’accordo, si tratta di esseri umani, non di numeri, ma questi esseri umani richiedono protezione, alloggio, alimenti, cure mediche e un lavoro che permetta loro una vita degna e il peso relativo non é ancora a lungo sostenibile. Se si ignora il problema o lo si minimizza, si fa solo il gioco dei populismi neorazzisti.
Se ci sono conflitti che pongono a rischio vite umane, la Comunità internazionale, Unione Europea in testa, deve agire per risolverli (la Russia lo sta facendo, con brutale efficacia, in Siria). Spetta soprattutto a noi aiutare la Libia a ritrovare stabilità e sicurezza interna, non possiamo lasciare le cose in mano ai francesi, spesso mossi da interessi divergenti dai nostri. Dove ci sono grandi aree di povertà, l’Unione Europea deve investire per la crescita economica e per assistere sul posto i più deboli (qualcuno ha parlato di un nuovo Piano Marshall per l’Africa). Ma l’ignobile traffico di esseri umani va fermato, gli scafisti vanno sconfitti, i Paesi europei devono, collettivamente o, se necessario, individualmente, stabilire quote ragionevoli di arrivi, senza chiudere le porte a chi può svolgere un lavoro utile. Il Presidente del’INPS l’ha ricordato: gli immigranti spesso fanno lavori che gli italiani non vogliono e sono necessari per sostenere il sistema pensionistico; la risposta di Salvini, che invece di discutere sui fatti ha accusato Boeri di far politica e minacciato di rimuoverlo, è fin troppo tipica.
Insomma, la risposta non può essere quella di aprire le porte dell’Europa al di là del ragionevole, ma promuovere sicurezza e condizioni di vita accettabili nei Paesi di origine. Per questo occorre un piano completo e organico, europeo e italiano. Tutto il resto è teatro della politica di partito.
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