Agricoltura Italia, la più green d’Europa
I numeri dell’ultimo Rapporto ISMEA sulla Competitività dell’agroalimentare italiana: “60,4 miliardi di euro il Valore aggiunto agroalimentare (33 mld di euro dell’agricoltura, 27,4 mld dell’industria alimentare); 219,5 miliardi di euro il valore aggiunto del settore agroalimentare allargato (13,5% il peso sul PIL); 753,8 mila imprese agricole e 71 mila imprese dell’industria alimentare (in totale è il 13,5% delle imprese italiane); 1 milione e 385 mila occupati nell’agroalimentare (5,5% degli occupati totali) di cui 913 mila nella fase agricola e 465 mila in quella industriale; 41 mld di euro le esportazioni di prodotti agroalimentari; 160,1 miliardi di euro la spesa delle famiglie per prodotti alimentari e bevande (15% del totale)”:
Il Made in Italy agroalimentare si configura come una grande risorsa per il Paese “…non è solo una fotografia dello stato di salute del settore nel nostro Paese, ma uno strumento concreto di analisi per guardare oltre, avere una visione d’insieme e pianificare il rafforzamento e il rilancio del comparto” queste le parole del Ministro delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo, Gian Marco Centinaio, al momento della sua presentazione.
L’agroalimentare italiano sta, finalmente, uscendo dalla crisi che ha attraversato, guadagnando terreno e acquisendo un ruolo più forte nell’economia italiana, “…dimostrando, contemporaneamente, grande capacità di tenuta economico-sociale nel corso della crisi e buone capacità di agganciare la ripresa” sottolinea il Direttore Generale di ISMEA, Raffaele Borriello.
E, malgrado, l’ultima Riforma UE che disciplina le regole sull’agricoltura biologica (aprile 2018) in Italia non sia stata accolta con entusiasmo (l’obiettivo è quello di garantire che solo i prodotti biologici di alta qualità siano importati nell’Unione Europea e le perplessità degli eurodeputati italiani e motivata dal fatto che in Italia gli agricoltori hanno valutato eccessivamente restrittive le soglie di fitofarmaci consentiti. Perplessità a cui è stato risposto che alzando le soglie dei limiti dei fitofarmaci che è consentito utilizzare in alcuni Paesi poi non vi sia stata più una distinzione efficace tra agricoltura bio e quella convenzionale), l’agricoltura italiana è la più “verde” d’Europa.
L’impatto sull’ambiente del nostro settore agricolo si sta progressivamente riducendo. Questo è quanto risulta da uno Studio di Cia-Agricoltori italiani: “le nostre colture pesano solo il 6% sulle emissioni totali degli inquinanti: CO2 a -25%; pesticidi -27%; erbicidi -31%”. L’aumento progressivo e sensibile alla bio-sostenibilità e al contenimento dell’inquinamento ambientale è riscontrabile per tutti i principali indici di impatto ambientale, inclusi i fungicidi -28% in contemporaneo all’aumento della produzione di “energia green” +690% e delle superfici bio + 56%.
L’Agricoltura italiana è diventata quella con il maggior numero di certificazioni alimentari a livello comunitario per i prodotti a denominazione di origine Dop/Igp. Stando ai ricercatori che hanno realizzato lo Studio in parallelo alla crescita di colture green e di energie rinnovabili stiamo assistendo alla drastica riduzione di utilizzo di prodotti chimici inquinanti e in parallelo all’aumento della manutenzione delle aree verdi realizzate dagli agricoltori.
Ed è per una nuova lettura dell’agricoltura che la FAO si unisce all’ISPRA, al CNR, al CREA e all’ENEA. Lo scopo, in ossequio a quelli che sono gli “Obiettivi di Sviluppo Sostenibile” che la Comunità internazionale si è data per il nuovo millennio, è promuovere nuove modalità di agricoltura sostenibile. “Con una popolazione mondiale che raggiungerà i 10 miliardi di persone nel 2050 – come dichiara Maria Helena Semedo, Vice Direttore Generale della FAO e Coordinatrice per le Risorse Naturali – la FAO stima che la produzione agricola dovrà aumentare di circa il 50% rispetto ai valori attuali per venire incontro a una domanda maggiore di cibo.” In questo senso la ricerca avrà sempre più un ruolo cruciale per aiutare i Paesi a trovare il “giusto equilibrio tra aumentare la produttività agricola, gestire in modo sostenibile le risorse naturali sempre più preziose e conservare gli ecosistemi”.
E’ questo il modo in cui le principali Istituzioni di ricerca italiane, fornendo esperienza, informazioni e contenuti scientifici contribuiranno a progredire nu verso un nuovo modello di agricoltura che sia realmente sostenibile, verso sistemi alimentari moderni, efficienti ed efficaci per raggiungere in tempi celeri, ottimizzando le risorse disponibili in termini di Know-how e Knowledge management, l’obiettivo “Fame Zero entro il 2030”.
“E l’Italia – mette in rilievo Pierfrancesco Sacco, Ambasciatore d’Italia e Rappresentante Permanente presso le Agenzie ONU in Roma alla cerimonia della firma dell’Accordo – potrà fornire un apporto ancora maggiore nel campo dell’innovazione agricola a favore dei produttori a livello familiare e dei piccoli e dei proprietari grazie ai grandi passi avanti di cui si è resa protagonista”.
Grazie al contributo di tutti i sistemi agricoli e alimentari potranno essere trasformati, evolvere e potranno essere trovate soluzioni innovative per aumentare la loro sostenibilità e produttività. Quello verso cui ci stiamo avviando è un nuovo paradigma: “L’agroecologia”: un approccio nuovo che comporterà molteplici benefici.
Per la FAO la semplice “Rivoluzione verde” di cui ora siamo agli “ultimi atti” si sta avviando al capolinea, siamo in tempi in cui occorre un cambio culturale, un approccio ecologico e sociale: mettendo insieme le conoscenze tradizionali e scientifiche questo modello applica approcci ecologici e sociali ai sistemi agricoli, concentrandosi e sviluppando tutti i possibili sviluppi che possono derivare dalle interazioni tra piante, animali, esseri umani e ambiente.
L’agroecologia unisce conoscenze tradizionali e scientifiche nel rispetto dell’ambiente da usarsi “per la sicurezza alimentare e la resilienza, per rafforzare i mezzi di sussistenza e le economie locali, per diversificare la produzione alimentare e le diete, per migliorare la fertilità e la salute dei suoli, per adattarsi ai cambiamenti climatici e mitigarne gli effetti, per preservare le culture locali e i sistemi di conoscenze tradizionali”.
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