Omar e Boris

Era nato ad Alessandria d’Egitto il 10 aprile del 1932. Un bel ragazzo di fede ortodossa che sceglie di studiare matematica e fisica all’Università del Cairo; una volta laureato comincia a lavorare con il padre nel commercio del legname. Ma non era quella la sua strada. Il cinema entra nella vita di Omar Sharif e lui ottiene una parte in un film egiziano; non è un uomo religioso, si convertirà all’Islam per poter sposare il suo amore, un’attrice egiziana. Il 1962 è il suo anno; David Lean lo sceglie per recitare in Lawrence d’Arabia.

Adesso ditemi chi non ricorda la sua apparizione, una tremolante figura nel deserto che piano piano prende corpo e diventa lo Sceriffo Alì tutto vestito di nero? Quante donne si sono emozionate guardando quegli occhi intensi, misteriosi? Uno spettacolo, altro che gli attorucoli di oggi! Bello come la notte senza luna, scrissero; bravo soprattutto a competere con un tipetto come Peter O’Toole e pezzi da novanta come Alec Guinness. Il film lo rende famoso in tutto il mondo e gli fa guadagnare un Golden Globe e una nomination agli Oscar come Miglior Attore Non Protagonista.

Nel 1965 arriva il colpo di grazia alle romantiche di tutto il mondo; viene di nuovo diretto da Lean nel film ispirato al romanzo di Pasternak, un film che vincerà ben cinque premi Oscar, Il dottor Zivago. La tormentata passione tra il medico-poeta Omar Sharif e l’infermiera Julie Christie, avrebbe fatto piangere intere generazioni; all’epoca una generazione di adolescenti (me compresa) scoprì che esisteva una specie di chitarra chiamata Balalaika; fu amore a prima vista con ogni fiocco di neve della steppa; perfino con il freddo e il gelo. E lui, con quello sguardo così intenso fu consegnato alla storia.

Sessant’anni fa Boris Pasternak, autore del Dottor Zivago, vinse il Premio Nobel per la letteratura; gli fu dato quasi a forza, poiché lo aveva rifiutato (penso suo malgrado) ben due volte. Pasternak era molto critico con il regime; pensava che l’ideale bolscevico fosse fonte di sofferenza e miseria per il popolo russo. Visse gli ultimi anni della sua vita in povertà, inconsapevole probabilmente dell’effetto del suo scritto sulle nuove generazioni. Pasternak era un dissidente, tant’è che il suo libro in Russia non fu pubblicato ma Giangiacomo Feltrinelli, entrato in possesso del manoscritto, lo pubblicò in esclusiva mondiale il 23 novembre 1957. Dall’Italia, il romanzo di Pasternak si diffuse in tutto l’Occidente fino a divenire il simbolo della realtà sovietica: una realtà amara, sofferente ma piena di poesia e di amore, almeno per chi la leggeva, forse meno per chi la viveva suo malgrado.

Ora, sono passati sessant’anni. È cambiato tutto il mondo; restano intatte le emozioni che ci hanno dato tutte queste persone che, in un modo o nell’altro, sono entrate nella nostra vita e, almeno per un momento, l’hanno resa più bella.

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