Europarlamento, al via la riforma del Copyright
Dopo la bocciatura dello scorso 5 luglio, il 12 settembre è stata approvata dal Parlamento Ue la direttiva sul copyright, al fine di applicare un insieme di regole volte a normare il diritto d’autore e lo sfruttamento economico delle opere dell’ingegno. I voti a favore sono stati 438, 226 i contrari e 39 le astensioni, al centro dell’attenzione le modifiche agli articoli 11 e 13 che risultano particolarmente controversi. Al momento nulla cambia, il mandato avvia il negoziato con il Consiglio e la Commissione per scrivere la versione definitiva della nuova legislazione. Essendo prevista una votazione definitiva, presumibilmente a gennaio del prossimo anno, toccherà in seguito agli Stati membri recepire e mettere in atto la direttiva, ogni Parlamento avrà ampio potere discrezionale per legiferare in merito.
La nuova normativa sul copyright approvata dal Parlamento Europeo ha effetti potenzialmente devastanti su internet così come oggi lo conosciamo. Una normativa europea che appare incredibilmente punitiva per gli utenti e restrittiva verso i giganti del web, in contrasto con una certa condiscendenza dell’antitrust verso le acquisizioni che li portano a crescere in maniera abnorme. Ma il lavoro delle lobbies dei grandi media, con il forte impulso dato alla procedura dal Presidente Tajani, è riuscita in quello che pareva impossibile, la creazione di un modello di controllo dal forte sapore orwelliano limitato alla sola Europa.
Sono due gli articoli più contestati della direttiva, ribattezzati rispettivamente “tassa sui link” e “bavaglio al web“. L’articolo 11 introduce l’obbligo da parte dei provider di corrispondere una remunerazione per lo sfruttamento dei contenuti protetti da copyright ai detentori degli stessi. Appesantendo ulteriormente le disposizioni iniziali, la modifica effettuata in sede parlamentare è andata ad includere anche gli “snippet”, la breve anticipazione che viene mostrata dagli aggregatori di notizie. Nel mirino rientra anche il cosiddetto “meme”, che utilizzando al suo interno immagini di figure politiche, eventi o cartoni animati, finirebbe quasi sicuramente nelle maglie della rete dei filtri preventivi. Oltre le enciclopedie libere, dovrebbero rimanere esclusi dalla normativa la semplice condivisione di collegamenti ipertestuali (hyperlink) agli articoli, insieme a “parole uniche” come descrizione. Ancora pendente rimane la questione della libertà di panorama, la cui introduzione nella normativa è stata bocciata. Se fate una foto ad un paesaggio o monumento, non potete pubblicarla su Facebook, in quanto privi del diritto d’autore.
La cosa più innovativa, in senso negativo, è stato il mettere in capo direttamente ai provider l’obbligo di filtro e censura preventiva del caricamento dei contenuti. Google, Facebook, Youtube, Twitt,r. dovrebbero preventivamente verificare tutti i contenuti caricati dagli utenti effettuando una vera e propria censura, cosa che stona con i peana inneggianti alla libertà fatti dal Presidente della FIEG Andrea Riffeser Monti e da tutte le altre grande aziende dei media. Ma il provvedimento porterà a due risultati, nessuno particolarmente piacevole. Il pericolo di incorrere in sanzioni e possibili denunce indurrà le grandi piattaforme ad installare filtri eccessivi che inibiranno il caricamento di contenuti di ogni tipo. Viceversa i siti minori teoricamente esentati, ma è tutto da vedere vista la vaghezza della definizione, non potranno certo incrementare filtri di tale portata e saranno piuttosto tentati a chiudere.
In piena crisi di vendite, con prodotti stantii ed un format oramai sorpassato, le testate storiche stanno soffrendo in maniera estrema l’era moderna, con un mercato pubblicitario dominato dalle televisioni, reagiscono chiudendosi a riccio e cercando di aggrapparsi a qualche spicciolo derivante dai GAFA. Il rischio di inimicarsi quel poco che resta dei lettori della carta stampata, ed un popolo che sta scemando vieppiù anche dagli schermi, rischia di trasformarsi in un boomerang. Dove queste normative sono state sperimentate, come in Spagna, sono miseramente fallite. Una legge simile sul diritto d’autore, fortemente voluta dagli editori spagnoli, obbligò gli aggregatori di notizie online a pagare per la pubblicazione delle anteprime agli articoli. Dallo scorso 16 dicembre chi prova ad accedere a Google News in Spagna viene rimandato a una pagina dove sono chiarite le motivazioni della chiusura del servizio, ma se è cessato il vero e proprio servizio di Google News (che fra l’altro incide pochissimo sugli incassi di BigG), resta in piedi tutto il corollario che porta alle stesse notizie. L’unico risultato è stato un calo del 14% verso i siti degli stessi fornitori di notizie, con conseguente tagli pubblicitari da parte degli inserzionisti.
Come detto la normativa partorita è piena di vaghezza e tecnicamente indefinita in molte sue parti, per cui la negoziazione per renderla attuativa sarà sicuramente lunga e laboriosa. Senza considerare la possibilità che qualche stato si metta di traverso rimandando il tutto sine die. La storica impreparazione dei legislatori in materia di Web e Rete in generale si è evidenziata per l’ennesima volta, soggiacendo più ad interessi di parte che a veri e propri bisogni. Alla luce del complicato processo legislativo della UE, è difficile prevedere la tempistica finale di questa legge, che una volta approvata a livello europeo dovrà essere resa concretamente applicabile da tutti i singoli stati a livello nazionale.
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