Dei delitti e delle pene

Marco venne invitato a cena a casa del collega di lavoro Armando. Appena entrato, senza portare almeno un fiore alla moglie del collega o un dolce, ebbe a che ridire sulla cena perché, a suo dire, il menù prevedeva piatti che si potevano mangiare ovunque e non qualcosa di particolare degno di un ospite. Armando e la moglie decisero che Paolo non avrebbe più messo piede in casa loro. Quando Lisa, la figlia quindicenne di Piero e Maria, tornò dalla festa con le amiche ben due ore dopo l’orario stabilito dai genitori, le venne sequestrato il cellulare e stabilito di vietarle ogni uscita per un mese.  Francesco non rispose all’ennesima telefonata dell’amico Aldo e questi decise di non convocarlo più per la squadra del calcetto.

Quelli descritti sono tutti comportamenti a dir poco umani; reazioni a situazioni che possono presentarsi ogni giorno e sulle quali spesso non riflettiamo. Chi è che non ha mai deciso d’istinto, ad esempio, che non sarebbe mai più tornato nel bar dove il proprietario non saluta e non emette lo scontino? Potremmo fare migliaia di esempi. Allo stesso modo le reazioni appena descritte possono essere valutate diversamente da uno spettatore esterno: qualcuno potrebbe giudicare eccessivo il mese di divieto di uscite per Lisa ovvero giudicare il comportamento di Marco talmente irriguardoso che Armando avrebbe potuto buttarlo fuori a calci.

Ci siamo mai soffermati a riflettere sulla circostanza che le reazioni ai comportamenti sopra descritti sono vere e proprie pene? Chi si sente in qualsiasi maniera oltraggiato da un comportamento altrui, reagisce punendo l’autore. È probabilmente la natura umana che porta a rispondere, senza che vi sia alcun codice scritto, alle situazioni della quotidianità. Ogni reazione serve prima di tutto al singolo per il proprio quieto vivere, per stare bene con sé stessi ed evitare stress o contatti con persone che non ci fanno stare bene. Punire un figlio è indispensabile per la sopravvivenza di un nucleo familiare che, altrimenti, potrebbe finire allo sbando.

E se tutto ciò è vero nel piccolo contesto di una famiglia o di un gruppo di amici, tanto più lo è in una collettività più ampia; basti pensare alle regole di un’associazione o su un luogo di lavoro fino a raggiungere la massima estensione nello Stato e negli ordinamenti sovranazionali.

Le regole sono indispensabili, al punto che ognuno se ne stabilisce alcune interne e personali sulle quali non transige, indipendentemente dalle valutazioni e dal pensiero degli altri. Un’organizzazione ne deve dare di oggettive e valide erga omnes, fino al punto di stabilire che di alcune, non è ammessa la non conoscenza. Precisiamo subito che si tratta delle norme penali, poiché pretendere la conoscenza di ogni norma civile o amministrativa, specialmente oggi in Italia, sarebbe impossibile. In sintesi, ognuno di noi stabilisce che cosa sia un reato nell’ambito della propria sfera personale e decide anche quale sia la pena che lui stesso, giudice inappellabile, erogherà nei confronti del colpevole.

Lo Stato non può quindi essere da meno e, tramite i codici penali, stabilisce quali siano i comportamenti che verranno sanzionati dal proprio potere giudiziario. Fortunatamente per la collettività, ogni Stato democratico porta a conoscenza di tutti quelli che sono detti comportamenti nonché la pena prevista. L’art. 575 Codice Penale tratta dell’omicidio: Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Sono poi previste circostanze aggravanti e attenuanti che possono portare fino all’ergastolo o a pene decisamente inferiori. I giudici nel loro decidere sono vincolati a quanto stabilito dai codici e non potranno mai applicare quelle pene talvolta richieste a gran voce dal popolo tipo “in galera e buttare la chiave” e, meno che mai, la pena di morte abolita per la prima volta nel Granducato di Toscana nel 1786 e definitivamente dal Vaticano solo nel 2001.

Oggi, purtroppo, la giustizia è spettacolarizzata in programmi trash o richiesta in veglie e fiaccolate; passa in secondo piano quella nelle più austere aule di tribunale. La giustizia è quella dei commenti sul web e delle libere opinioni di chi vorrebbe vedere il politico corrotto o l’autore di una violenza appesi su una pubblica piazza; o quella di chi chiede l’impunità di azioni che i loro autori definiscono di disobbedienza civile. Ma Gandhi era un’altra cosa e la magistratura deve lavorare e applicare le normative vigenti. Si discute inoltre sulla certezza della pena che, ai sensi della Costituzione ha un fine rieducativo, ultimo in ordine di tempo l’attuale Ministro della Giustizia che, in un post sgrammaticato e legalmente scritto male, ha ribadito il concetto. Possiamo in linea di principio tutti concordare, ciascuno sulla base del proprio codice etico personale. Ma la pena, in ultimo, resta un’opinione e una valutazione personale. Non è semplice il compito del legislatore.

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