La crisi ucraina

Il 21 Novembre, il Governo ucraino rinuncia a siglare un accordo di libero-scambio e di cooperazione con l’Unione Europea, appena una settimana prima della firma ufficiale prevista a Vilnius. I negoziati naufragano su una delle condizioni poste dagli Europei: il trasferimento in Germania dell’ex Primo Ministro Iulia Timoschenko, condannata nel 2011 ad una pena di 7 anni di prigione per abuso di potere. L’oppositrice, che soffre di gravi problemi alla schiena, è in ospedale dall’Aprile del 2012. Il Parlamento ucraino a respinto qualsiasi progetto di legge che mirava al trasferimento della Timoschenko.

Ufficialmente, il Capo di Stato parla di una “pausa” dei negoziati. Ma la decisione sembra più essere una vittoria della diplomazia russa. Mosca ha esercitato non poche pressioni sul suo vicino. Il consigliere economico del Cremlino, Serghei Glaziev, aveva paventato, pochi giorni fa, una possibile cooperazione economica di “decine di miliardi di dollari”, se Kiev rinunciava ad associarsi all’UE. Il 20 Novembre, il Capo del Governo, Mykola Azarov, incontrava a San Pietroburgo il suo omologo Dmitri Medvedev. Domenica scorsa, il Presidente ucraino ha reso pubblica la sua intenzione di recarsi a Mosca per accordarsi con Vladimir Putin su una road map di cooperazione. Dopo il fallimento dell’accordo, la carismatica Iulia Timoschenko comincia uno sciopero della fame e chiama la popolazione a scendere in piazza. Alla protesta e agli appelli di destituzione del Presidente in carica della dissidente imprigionata, si aggiunge un’altra figura dell’opposizione: il pugile Vitali Klitscko. Il campione del Mondo dei pesi massimi si erige come vero portavoce del movimento. Lo sportivo non nasconde le sue ambizioni politiche e si è ufficialmente candidato alle presidenziali del 2015. L’uomo, molto popolare nel Paese, ha promesso di mettere al tappeto l’attuale Presidente. I sondaggi lo danno favorito. Di giorno in giorno le manifestazioni guadagnano forza. Dal 24 Novembre, decine di migliaia di persone si ritrovano a Piazza dell’Indipendenza, luogo emblematico della Rivoluzione arancione del 2004. Il Paese non vedeva da allora un simile movimento di persone. Il movimento si radicalizza di giorno in giorno, la violenza della polizia pure.

Nei giorni scorsi si è tenuta, per uno strano gioco del destino e di calendario, a Kiev la riunione dell’OCSE. Ricordiamo che l’Organizzazione per la Sicurezza e la cooperazione in Europa è nata dalla guerra fredda. E’ stata creata  sulla scia del processo di Helsinki, cominciato nel 1973, e che aveva come obbiettivo creare le basi per la distensione tra le due superpotenze, gli Stati Uniti e l’URSS. Nella capitale ucraina, la riunione interministeriale è stata nuovamente teatro di uno scontro tra Est e Ovest, come nei giorni più bui.

Rappresentanti americani e russi hanno in effetti avuto qualche scambio di vedute dai toni forti  sulle sorti dell’Ucraina. Durante una seduta plenaria, Victoria Nuland, Segretario di Stato americano aggiunto per gli Affari europei e asiatici ha dimostrato avere le idee molto chiare riguardo a questa questione: “Stiamo con il popolo ucraino, che vede il suo futuro in Europa, ha dichiarato. Chiediamo al Governo ucraino di ascoltare la voce del suo popolo che vuole vivere in libertà”. Il Ministro degli Affari Esteri russo,  Sergei Lavrov, ha letto da parte sua, a denti stretti, un discorso scritto e nel quale auspicava che “l’OCSE rimanesse uno spazio privo di linee di demarcazione tra i Paesi che lo compongono”. La vigilia, a Bruxelles, aveva ancora più apertamente chiesto che gli occidentali “non ingerissero negli affari interni” dell’Ucraina. Il Ministro tedesco degli Affari Esteri, Guido Wastervelle , ha anche lui mostrato chiaramente quali fossero le sue priorità. Appena arrivato a Kiev, si è recato a piazza dell’Indipendenza, dove l’opposizione prosegue la sua protesta permanente. Era accompagnato da Klitchko. Giovedì scorso, davanti al centro conferenze dove si teneva il summit, lontano dal centro della città, i Ministri sono stati accolti da qualche presidio di manifestanti e giornalisti che mostravano manifesti di denuncia per la violenza contro la stampa. Più di una trentina di giornalisti sono stati feriti durante i momenti di repressione delle manifestazioni, Sabato 30 Novembre e Domenica 1° Dicembre a Kiev. Per un concorso di circostanze delle quali l’Ucraina avrebbe fatto volentieri a meno, questo summit dell’OCSE aveva in agenda l’adozione di un testo sulla sicurezza dei giornalisti. La libertà dei media è in effetti uno dei temi permanenti sui quali lavora l’Organizzazione.

Mentre l’opposizione tiene sotto assedio il centro di Kiev, più di 10mila persone si sono riunite la scorsa settimana a Donetsk, città russofila dell’est del Paese. Obbiettivo: sostenere la politica del Presidente Ianukovitch, il riavvicinamento con la Russia e reclamare la “fine dell’anarchia a Kiev”. Perché Donetsk? Perché è la roccaforte del potere ucraino, il suo centro nevralgico (Presidente, Primo Ministro e molti dirigenti sono originari di questa regione) ed è inconcepibile per il Presidente che qui prenda piede qualsiasi tipo di contestazione, e per qualsiasi movimento dissidente viene praticamente fatto morire sul nascere. Inoltre, molti abitanti del Donbass hanno legami familiari o economici con la vicina Russia. Se l’Ucraina si avvicinasse all’Europa, se le frontiere con la Russia si chiudessero, la Regione diventerebbe un vero cul de sac. Ma se a Kiev le manifestazioni sono spontanee, a Donetsk sono ben organizzate: autobus pieni di operai e minatori sono stati riempiti e spediti in città, dove i dirigenti locali hanno tutti diligentemente affermato non essere anti-europei, ma semplicemente che l’Ucraina non aveva bisogno dell’Europa. L’economia dell’Ucraina però è a pezzi, operai e minatori non se la passano bene, anzi, stanno sempre peggio. I dissidenti di Kiev, potrebbero presto avere in mano la carta giusta per conquistarsi le regioni dell’Est.

Uno dei fenomeni alla base del rifiuto della squadra che governa l’Ucraina da una parte sempre crescente della società, è l’opacità totale nella rete d’interessi in mano ad un centinaio di persone che detengono il potere reale. Un gruppo di oligarchi, i cui interessi personali passano avanti a quelli della Nazione. Ed è nell’ambito di questo sistema clientelare e baronale che si decide l’orientamento filo europeo o pro russo delle autorità ucraine. E questo orientamento non è ancora chiaro. Gli oligarchi avrebbero in principio molto da perdere adottando le regole chiare e trasparenti imposte dall’Unione Europea. Ma, allo stesso tempo, molti settori avrebbero interesse a trovare nuovi mercati e partner più moderni. Per il momento, gli oligarchi investono poco nel tessuto industriale obsoleto bloccando così la nascita di un ceto medio locale, frenando la modernizzazione del Paese.

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