Da Ventotene al bisogno di una nuova Europa

Era il 1941; sull’isola di Ventotene, si trovavano al confino con altri intellettuali e politici, messi fuori dalla società dal regime fascista, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni. Furono loro che collaborarono a scrivere il manifesto di Ventotene, un documento programmatico e quasi visionario, considerato il momento storico, in cui si auspicava la creazione di uno Stato federale europeo che riuscisse ad andare oltre la logica degli Stati Nazionali che stavano per trascinare il vecchio continente nel baratro del secondo conflitto mondiale.

Questo documento non era il primo tentativo di sensibilizzare le culture e le opinioni verso un ente sovrannazionale; nei primi anni venti del secolo scorso, dopo la prima guerra mondiale, il nobile tedesco Richard Nikolaus Kalergi aveva già parlato di Paneuropa e nel testo omonimo per la prima volta si trova la definizione di Unione Europea.

Erano idee che derivavano da esperienze storiche diverse, in contesti peculiari in cui si stava assistendo: mentre nel 1922 si cercava di porre rimedio ai danni, non solo materiali, creati dalla Grande Guerra, nel 1941 gli intellettuali di Ventotene già forse presagivano la pericolosa deriva in cui gli stati nazionali stavano cadendo nel tentativo, forse, addirittura di autogiustificare la loro esistenza.

In ogni casi sia Kalergi, il cui nome oggi è strumentalizzato per giustificare ridicole teorie complottistiche, sia Spinelli e Rossi, indicavano la direzione che gli stati europei dovevano prendere per salvare, oltre loro stessi, anche l’intero continente, ponendo in essere strutture di governo sovranazionali e una comune politica non solo economica.

Come sia andata la storia, seppur ciascuno fermo nelle proprie convinzioni ideologiche e bloccato nei propri preconcetti, lo sappiamo tutti; ma le idee di un’Europa unita furono portate avanti dal tedesco Konrad Adenauer, dal francese Robert Schuman e dall’italiano Alcide De Gasperi, i padri fondatori dell’attuale UE. L’Inghilterra aderì nel 1973, nonostante l’opposizione del Generale De Gaulle che voleva un’Europa in cui l’asse Parigi Berlino ne fosse il traino. Poi i successivi ingressi fino a quelli delle nazioni del blocco della ex Jugoslavia e l’allargamento che sembra voler continuare nonostante una brexit di cui gli inglesi sembrano decisamente pentiti. Churchill disse “La Gran Bretagna è dell’Europa, ma non in Europa.” Forse presagiva?

Nelle nazioni ripartono i nazionalismi, e spinte centrifughe dall’unione sembrano sempre più forti in forze politiche che rivendicano principi nazionalistici e protezionistici dove, oltre al richiamo delle sicurezze dei confini, invocano fantasmi di invasioni e perdite di identità culturali e rischi per le microeconomie. Da parte di altri ciò viene definito razzismo e fascismo quando, non dimentichiamolo, potrebbe essere semplicemente paura dovuta alla mancanza di conoscenza o di cultura.

Oggi è il 2018 e in molti non accettano e non tollerano l’Europa. Forse accettano la mancanza di confini e la libertà di movimento, ma non capiscono questo mostro che toglie libertà agli Stati e impone vincoli di cui ci si vorrebbe liberare. Magari “informandosi” su Google o ascoltando il “politico” di turno. Oggi è il 2018 e “The Economist”, dalle sue pagine, ci dice che la Cina ha delle mire e dei progetti sull’Europa. Ovviamente si parla di progetti economici.

Non sono certo le mire che potevano avere gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica negli anni della guerra fredda, ma l’analisi è decisamente esaustiva e non è emersa nel dibattito politico.

Sarebbe quindi necessario che, mettendo da parte ideologie localistiche e particolarismi, nonché pericolose ideologie demagogiche o di partito, che possono portare forse voti, ma che sono assai poco lungimiranti, si riflettesse come vi sia bisogno di Europa per difendere non solo l’idea unitaria, ma quella dei singoli Stati che, presi uno ad uno, ben poco possono nei confronti dei grandi colossi. Siano esse alcune multinazionali ovvero colossi economici che stanno fagocitando l’economia mondiale.

L’esperienza degli Stati Nazionali appare ormai superata nel contesto globale odierno, ma spinte che riportano verso i particolarismi appaiono decisamente dannose e possono portare i loro autori ad escludersi dai nuovi contesti e rendere più difficile le loro difese. Il prossimo passo potrebbe essere quello del ritorno alle città stato e a un maggiore isolazionismo. C’è veramente bisogno di Europa e una rilettura di Kalergi e del Manifesto di Ventotene, in una chiave attuale e, forse, applicarli, potrebbe essere decisamente opportuno.

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