Cronache dai Palazzi
Si va avanti, ma con la consapevolezza che non ci si può arrampicare sugli specchi. La bocciatura della legge elettorale da parte della Corte Costituzionale rappresenta il punto di saturazione di un sistema arrivato al limite. In primo luogo occorre evitare di tornare al teatrino della Prima Repubblica con un sistema proporzionale che riproporrebbe agli elettori il caos da ‘rimpasto’ che partiti e partitini sarebbero in grado di riprodurre. È auspicabile un sano “superamento del sistema proporzionale”, ha sottolineato Napolitano che ha inoltre puntualizzato: “Il Parlamento resta pienamente legittimato ad operare” e “la riforma del Porcellum è ormai un imperativo”.
È ormai “imperativa” anche una riforma della struttura dello Stato e di fronte alle decisioni assunte dalla Consulta il Capo dello Stato si è limitato a scongiurare un eventuale “marasma” post bocciatura. Sulla sentenza della Corte Costituzionale e sull’eventuale rimedio da essa proposto (un proporzionale puro) è in effetti scontro tra i partiti, ma anche tra i due rami del Parlamento. La Camera chiede che la riforma della legge, bloccata al Senato, passi a Montecitorio alimentando le crisi da bicameralismo perfetto.
In definitiva alle Camere è stato offerto un “lasso di tempo” per correre ai ripari e, per evitare gli effetti dannosi di un Parlamento “delegittimato perché incostituzionale”, la Consulta ha comunque precisato che “vengono fatti salvi gli effetti di legge per il passato”. Ora la priorità è mettere in sicurezza il Paese, già duramente provato dalla grave crisi economica. La crisi politica che si prospetta all’orizzonte finirebbe per sferrare un colpo mortale alle istituzioni seriamente destabilizzate dal vuoto normativo aperto dalla bocciatura, mentre è battaglia sul doppio turno proposto dalle forze di centrosinistra. “Siamo per il bipolarismo – ha precisato Alfano – ma non vuol dire che apriremo al doppio turno”. Nelle ultime ore sembra infine affermarsi “una spinta per il sistema tedesco corretto” – un meccanismo proporzionale con soglia di sbarramento molto alta e un premio di maggioranza del 15% – con una sola Camera forte.
La sentenza della Corte Costituzionale registra comunque un insuccesso della democrazia dei partiti, tutti, richiamati per l’ennesima volta a fare uno sforzo di responsabilità per il bene del Paese. Nel caos all’italiana alcuni tentano addirittura di prendersela con il Capo dello Stato che ormai da tre anni cerca inutilmente di ammonire le varie forze politiche affinché si diano un nuovo sistema di voto che consenta la formazione di maggioranze più forti e più omogenee. Intravedendo all’orizzonte il pericolo di un ritorno al sistema proporzionale, uscito fuori dal taglia e cuci della Consulta, lo stesso Napolitano ha scongiurato uno scenario di questo tipo, magari con l’incubo che le ‘larghe intese’ siano un destino dal quale il Paese non possa più liberarsi. “La decisione della Consulta – ha chiarito Napolitano – non può aver stupito chiunque ricordi le numerose occasioni in cui sono intervenuto per sollecitare fortemente il Parlamento a modificare la legge elettorale del 2005 almeno nei punti di più dubbia costituzionalità”.
Il Parlamento è l’organo costituzionale deputato a sfornare una nuova legge elettorale, è depositario della volontà popolare, seppur deformata dal sistema delle ‘liste bloccate’ ritenute non a caso incostituzionali. Ora deve necessariamente affermarsi quella “volontà politica” più volte evocata dal Capo dello Stato, per “produrre finalmente la riforma elettorale giudicata necessaria da tutte le parti”. Basterebbe poco in fondo, che tutti i partiti, lasciando da parte i loro particolari interessi, si mettessero in testa di radere al suolo, o quasi, l’attuale sistema – senza se e senza ma – facendo le dovute riforme istituzionali necessarie per uscire dallo stallo: superamento del bicameralismo perfetto; cancellazione o al limite rivisitazione del Senato della Repubblica; abolizione definitiva del finanziamento pubblico; riduzione del numero dei parlamentari; ed infine una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti magari ricostruendo, in questo modo, un rapporto di fiducia tra eletti ed elettori.
Lo “scetticismo” che proviene dall’Europa finisce inoltre per alimentare la sfiducia e, non a caso, il premier in carica è corso ai ripari affermando che “scetticismo è una parola che si riferisce ad un discorso politico”, mentre il commissario europeo “è garante dei trattati europei e nei trattati europei non c’è la parola scetticismo”.
Due giorni dopo le parole del commissario agli Affari economici di Bruxelles, Olli Rehn, colui che aveva appunto manifestato ‘scetticismo’ a proposito del risanamento italiano, è approdato nel Belpaese il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, sceso a Roma per riequilibrare i pesi incontrando Napolitano e il presidente Letta.
Letta ha esposto a Van Rompuy un apposito schema che sarà alla base della “fiducia sulle riforme”, in pratica “conti a posto”, sostegno all’occupazione – in primo luogo quella giovanile – riduzione del debito che dovrebbe addirittura scendere al di sotto del famigerato 3% nel 2014, ed infine “tasse che cominciano a scendere per famiglie e imprese, e finalmente il segno più sul tema della crescita”. L’obiettivo di Letta è, ancora una volta, il semestre europeo di presidenza italiana. “Il nostro obiettivo – ha affermato Letta – è quello di avere una legislatura della crescita anche in Europa, dopo cinque anni tutti concentrati purtroppo sull’affrontare la crisi e sulle politiche di sola austerità”.
Per ora, però, il presidente del Consiglio è costretto a sbrogliare le matasse in casa propria e, dopo le primarie del Pd, il prossimo appuntamento tanto atteso è il necessario “passaggio parlamentare” di mercoledì 11 dicembre che, con il completo appoggio del Quirinale, “non può che assumere i caratteri di un dibattito sulla fiducia”. In definitiva per la Consulta, e non solo, la riforma della legge elettorale rappresenta il ‘quid’ della maggioranza che uscirà dal voto di fiducia di mercoledì, anche se non si può procedere al varo di una nuova legge elettorale senza prima aver effettuato un debito restyling istituzionale del sistema Italia. Come dimostra la storia politica del nostro Paese, infine, con due Camere e tre poli molto probabilmente qualsiasi sistema di voto faticherebbe a garantire la governabilità.
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