BRI, la Cina alla conquista del mondo
Mentre in Italia continuiamo a guardare il nostro piccolo orto litigando su una poltrona o qualche decimale da rosicare per aumentare il debito pubblico, il mondo corre veloce, e mentre respingiamo qualche poveraccio di colore sulla costa, pericoli ed opportunità arrivano per altre strade. Magari percorrendo la vecchia Via della Seta cinese ora rinominata “Nuova Via della Seta”. Il faraonico progetto lanciato da Xi Jinping nel 2013 continua ad innescare opportunità crescenti per l’Unione Europea, l’Italia e le aziende del nostro Paese. La One Belt One Road Initiative (BRI) è destinata a cambiare gli equilibri strategici mondiali, evitando possibili blocchi navali, ma in termini più realistici, abbreviando enormemente i tempi di arrivo delle merci dall’Estremo oriente in Europa e contemporaneamente dimezzandone il costo di trasporto.
Le implicazioni strategiche derivanti dalla nuova infrastruttura cinese, che fra l’altro vanta già un importante terminal in Italia a Mortara, sono enormi e forse non pienamente comprese da molti governi. Una via di terra come questa che sta nascendo avrebbe costi e tempi molto inferiori al trasporto via nave aumentando la concorrenzialità del gigante cinese, inoltre metterebbe al sicuro Pechino da eventuali blocchi navali da parte degli Stati Uniti.
Da non sottovalutare la sottile strategia che permea i progetti in comune con i paesi interessati, le spese da sostenere sono in comune, ma molti degli stati vantano poca liquidità e devono ricorrere ai finanziamenti delle banche cinesi, non si tratta di sovvenzioni, ma di veri e propri prestiti. Un recente studio del Centro per lo sviluppo globale ha identificato otto paesi: Gibuti, Maldive, Laos, Montenegro, Mongolia, Tagikistan, Kirghizistan e Pakistan, che sono particolarmente a rischio di difficoltà di indebitamento a causa del futuro finanziamento di Belt e Road. Insegni il caso dello Sri Lanka che nel solo 2017 ha destinato il 95% delle entrate governative al rimborso del debito. Il governo di Maithripala Sirisena ereditò una montagna di debito verso la Cina, uscendone solo con un accordo che concede a Pechino l’affitto per 99 anni del porto strategico di Hambantota.
A volte i progetti vengono iniziati e mai completati, lasciando solo debiti a carico degli stati e quindi sudditanza verso la Cina. Un esempio spesso citato è la linea ferroviaria Bandung-to-Jakarta, un affare da 5,5 miliardi di dollari firmato dall’Indonesia con la Cina nel 2015. In tutto questo come si comporta l’amministrazione Trump? Gli investimenti del settore privato da parte delle società americane superano ancora quelli degli investitori cinesi, ma pare che The Donald sottovaluti il problema delle implicazioni politiche e future del un recente studio del Centro per lo sviluppo globale ha identificato otto paesi – Gibuti, Maldive, Laos, Montenegro, Mongolia, Tagikistan, Kirghizistan e Pakistan – che sono particolarmente a rischio di difficoltà di indebitamento a causa del futuro finanziamento di Belt e Road. I terminal commerciali che Pechino sta disseminando tra la Cina e l’Europa un giorno potrebbero trasformarsi in basi militari, e la dipendenza economica dei vari stati verso il regime di Xi Jinping può influire sulla libertà e l’indipendenza degli stessi. La folle politica sclerotica attuata dal Presidente degli Stati Uniti, lasciando ad esempio morire il TPP, ha aperto spazi inaspettati alla Cina, che ne sta approfittando con intelligente prontezza. Pechino ha già stanziato 50 miliardi di dollari da investire in Brasile per la costruzione di un porto all’imbocco del Rio delle Amazzoni.
Per concludere resta la Brexit, con un Regno Unito che in uscita dall’Europa guarda alla Cina ed alla Greater Bay Area con rinnovato interesse puntando ad inserirsi con forza nella BRI. Karen Maddocks, console generale Guangzhou, è quanto mai attiva in tal senso evidenziando l’eccellenza di Londra nei servizi finanziari e professionali e anche nella consulenza sull’impatto ambientale.
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