Migranti, il Patto di Marrakech
Senza carattere vincolante per gli Stati, il patto di Marrakech ha come obiettivo di rafforzare la cooperazione tra i Paesi. Lontano dalle interpretazioni catastrofiche che si sono moltiplicate su Internet.
Sui social network, le teorie più azzardate hanno tenuto banco nell’ultimo periodo, cercando di dare un senso ai contenuti del patto di Marrakech, ma creando spesso allarme su ondate migratorie i cui numeri sono stati dati in modo alquanto fantasioso (495 milioni di arrivi in Europa da qui al 2025; ricordiamo che dal 2014 sono arrivati in Europa 1,8 milioni di migranti). Queste informazioni grossolane e superficiali, spesso neanche difese da chi le ha divulgate, sono state però lette e condivise milioni di volte, rafforzando in un certo qual modo una diffusa atmosfera complottista. Eppure, il progetto del documento finale delle Nazioni Unite è disponibile in tutta la sua trasparenza in rete dallo scorso 30 Luglio e si contenta di mettere le basi si una migliore cooperazione tra i Paesi.
Il patto deriva dalla dichiarazione di New York, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 19 Settembre 2016. Adottando questa dichiarazione, gli Stati hanno soprattutto “espresso la loro profonda solidarietà a tutte le persone che sono state costrette a fuggire”, “promesso un importante sostegno ai Paesi colpiti da importanti spostamenti di rifugiati e migranti”. Ma, soprattutto, gli Stati hanno concordato di adottare un patto mondiale per arrivare a migrazioni sicure, ordinate e regolari”. All’epoca tutti erano d’accordo, tranne gli Stati Uniti, che si erano tirati fuori subito. Poi, la defezione per motivi politici si sono moltiplicate anche se il patto fu definito da Louise Arbour, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per le migrazioni, come un “quadro di lavoro” e non “un trattato”. L’Ungheria, l’Australia, la Repubblica Ceca, l’Austria, la Polonia, Israele, Italia (sappiamo della “sospensione di giudizio” posta da Salvini almeno fino a quando non si esprimerà il Parlamento) e diversi altri Paesi non hanno firmato il Global Compact for migration a Marrakech lo scorso 10 Dicembre.
I termini “cooperare”e “cooperazione” tornano almeno 81 volte in questo patto di 40 pagine. Il testo non contiene numeri, se non qualche data. Per questo le quote poste sull’accoglienza di migranti o il reddito che gli si sarebbe potuto elargire sono potute essere interpretate a piacimento sui social network. Arrivano poi 23 obbiettivi. La cooperazione è ancora al centro: scambio di dati e informazioni tra Paesi, “rafforzare l’azione transnazionale nei confronti del traffico di migranti”, “gestire le frontiere in modo efficiente, sicuro e coordinato” o “salvare delle vite e organizzare un’azione internazionale coordinata per ritrovare i migranti scomparsi”. Più concretamente, il patto incoraggia gli Stati a creare dei centri di ricerca o degli osservatori sulle migrazioni, a raccogliere dati oggettivi per capire meglio cosa succede e occuparsi di queste migrazioni. Si parla anche di “elaborare procedure di salvataggio dei migranti”, di permettere a questi migranti di comunicare con i loro parenti per rassicurarli, ma anche di assicurare un trattamento dignitoso ai migranti deceduti, seguendo la volontà delle famiglie.
Il patto intende anche limitare il numero di migrazioni nel futuro puntando il dito sui “fattori negativi e i problemi strutturali che spingono le persone a lasciare i loro Paesi di origine” cooperando affinché “venga facilitato il rientro dei migranti e il loro rimpatrio in tutta sicurezza e dignità, così come un loro reintegro duraturo nella società”. Obbiettivi che incrinano la teoria dell’ “invasione di migranti organizzata dalle Nazioni Unite” denunciata dai social network. Per il raggiungimento di questi obbiettivi, il patto rinvia al programma di sviluppo durevole con scadenza 2030, adottato nel 2015, che ha come traguardo il miglioramento delle condizioni di vita, politica ed economica, nei Paesi soggetti ad esodi di massa. Altri obiettivi degni di nota: quelli che mirano a migliorare le condizioni di vita dei migranti nei Paesi di accoglienza. Tra questi abbiamo “l’accesso ai servizi di base”, “far si che i migranti e la società abbiano i mezzi che favoriscano la piena integrazione e coesione sociale” e ancora “aiutare i lavoratori migranti ad accedere alla sicurezza sociale”.
Cosa implica tutto ciò? Il patto non sarà vincolante per i Paesi che lo ratificano. E questo è scritto nero su bianco nel preambolo: “Il presente atto mondiale stabilisce un quadro di cooperazione giuridicamente non vincolante, che si basa sugli impegni convenuti dagli Stati membri nella dichiarazione di New York per i rifugiati e per i migranti”. Il patto di Marrakech prevede anche la creazione di un forum di studio delle migrazioni internazionali, che si terrà ogni quattro anni, con il fine di constatare “i progressi realizzati”. In tal modo, il patto non impone obiettivi concreti e quantificati e il suo impatto non dipenderà che dall’interpretazione e dalle misure che gli Stati prenderanno. Dopo la sua firma (la ratifica sarà fatta all’Assemblea delle Nazioni Unite mercoledì prossimo), il Segretario Generale della Nazioni Unite Antonio Guterres ha esortato gli Stati a non “soccombere alla paura o alle false narrazioni”.
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