Cronache dai Palazzi
Una settimana di continui rinvii e di stop and go, con 700 emendamenti non discussi e la decisione ultima di far approdare la legge di Bilancio a Palazzo Madama omettendo il parere della Commissione.
Al Parlamento è assegnato “un ruolo centrale che va rispettato e preservato”, ha affermato il presidente Sergio Mattarella al Quirinale durante il saluto di fine anno alle Alte cariche dello Stato. La riflessione del capo dello Stato si può sintetizzare con due concetti fondamentali: il “rispetto dei limiti del potere” e la necessità per gli uomini politici di “servire le istituzioni”. L’azione di pedagogia istituzionale di Mattarella è stata inoltre segnata da un’altra parola chiave: “pluralismo”. “Pluralismo nell’assetto dell’ordine istituzionale”, ma anche “pluralismo nell’assetto della società civile, nel cui ambito si formano e si affermano formazioni autonome di diversa natura”, ed inoltre “pluralismo nella libertà dell’informazione, presidio democratico”, pluralismo e libertà della cultura, dell’arte e della scienza.
Il fatto di non aver votato nessun emendamento è stato contestato da diversi parlamentari. “Una grave ferita alla democrazia”, ha affermato Emma Bonino (+Europa). “È la prima volta nella storia della Repubblica”, ha ammonito il dem Andrea Marcucci. Renato Brunetta ha sottolineato invece i possibili rincari dell’Iva: “Le aliquote rischiano di arrivare al 26,5 per cento”. Di Maio ha a sua volta assicurato che “le clausole di salvaguardia si attivano se non tornano i conti, ma i conti torneranno”. La manovra viene bocciata anche dalla Cei, in quanto i vescovi si dichiarano preoccupati per i tagli alle agevolazioni per gli enti no profit.
Nello specifico l’Iva dovrebbe rimanere ferma nel 2019 – mentre avrebbe potuto portare nelle casse dello Stato 12,5 miliardi di euro – ma il problema riguarda gli anni successivi, in quanto nel 2020 potrebbe salire al 25 per cento e nel 2021 al 26,5 per cento. In pratica per quanto riguarda le prossime due Finanziarie, anche nell’accordo con Bruxelles, si prevedono maggiori entrate e minori spese. È previsto inoltre l’investimento di un miliardo di euro per finanziare l’innovazione, supportando la crescita di start up ritenute innovative. Risorse cospicue che però non raggiungono i livelli di investimento previsti in altri Paesi europei, come la Francia che nel 2016 ha strutturato un piano di oltre dieci miliardi.
La web tax dovrebbe invece far entrare nelle casse dello Stato circa 150 milioni nel 2019 e 600 ogni anno dal 2020. La nuova tassa, che sarà attiva a partire dall’ultimo trimestre del prossimo anno, ha già provocato alcune polemiche da parte di Confindustria digitale e Fieg (Federazione italiana degli editori), additata come un ulteriore inasprimento della pressione fiscale per le imprese italiane. L’imposta graverà sulle aziende con ricavi pari o superiori a 750 milioni, dei quali almeno 5,5 derivino da servizi digitali. Il Fisco riscuoterà il 3 per cento dei ricavi cosiddetti digitali. “La web tax dovrebbe far pagare le tasse a chi oggi non le paga in Italia. Invece questa imposta colpisce i ricavi anche delle aziende italiane già soggette al prelievo ordinario – ha sottolineato il presidente della Fieg Andrea Riffeser Monti -. Rischia di deprimere ulteriormente i bilanci delle nostre imprese. Non può costituire un alibi per una forma generalizzata di nuova tassazione”.
Penalizzato inoltre il Forum del Terzo settore che dovrebbe subire un danno pari a 118 milioni di euro con l’inasprimento dell’Ires, l’imposta dei redditi per le persone giuridiche. “Assurdo che debba essere proprio il Terzo settore a pagare l’accordo con l’Europa”, è stata la dura reazione della portavoce del Forum, Claudia Fiaschi e, nel contempo, anche la Cei ha manifestato il proprio disappunto: “Se davvero il Parlamento procedesse con la cancellazione delle agevolazioni fiscali agli enti non commerciali – ha ammonito il segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo -, verrebbero penalizzate fortemente tutte le attività di volontariato, di assistenza sociale, di presenza nell’ambito della ricerca, dell’istruzione e anche del mondo socio-sanitario”.
È stato comunque raggiunto un compromesso con Bruxelles che, tra le tante cose, ridimensiona il protagonismo politico di Lega e Cinque Stelle e rafforza la figura istituzionale del premier Giuseppe Conte. Le capacità di mediazione del nostro presidente del Consiglio hanno portato ad un accordo con la Commissione europea evitando una pesante procedura di infrazione per debito eccessivo contro il nostro Paese, ciò che avrebbe comportato, di fatto, un commissariamento effettivo dell’Italia da parte dell’Ue. Il negoziato tra l’Italia e l’Europa si è concluso attestando il rapporto deficit/Pil al 2%.
Quota 100 e reddito di cittadinanza rimangono le riforme predilette dalla maggioranza giallo-verde e sono anche quelle maggiormente ridimensionate. Per quanto riguarda la riforma delle pensioni sarebbero circa 4,7 miliardi le risorse stanziare dal governo per finanziare quota 100 nel 2019. Nel 2020 invece dovrebbero essere disponibili 8 miliardi. Ci sono comunque i soldi necessari per mettere in atto la riforma che partirà dal primo aprile del 2019, come ha annunciato il ministro dell’Economia Tria. Potrà andare in pensione chi ha almeno 62 anni di età e 38 di contributi versati, e chi utilizzerà quota 100 riceverà comunque un assegno inferiore a quello che avrebbe ricevuto andando in pensione normalmente a 67 anni. Dovrebbero essere circa 315 mila i cittadini che richiederanno quota 100, ossia l’85 per cento degli aventi diritto, e dal prossimo anno sono previsti anche tagli per oltre 100 mila euro lordi alle pensioni d’oro divise in cinque fasce. Le riduzioni varieranno da un minimo del 15% ad un massimo del 40%. Il ridimensionamento delle cosiddette pensioni d’oro verrà applicato per cinque anni.
Anche il reddito di cittadinanza, la misura bandiera dei Cinquestelle, prenderà il via “nei tempi che avevamo previsto” e, come quota 100, partirà “dal primo aprile” (e non più a febbraio o marzo), lo ha annunciato il ministro dell’Economia Giovanni Tria dagli studi televisivi di Porta a porta.
“Non si riducono i contenuti né la platea dei destinatari”, ha dichiarato il premier Conte di fronte all’Aula di Palazzo Madama, e il governo ha stanziato ben 7,1 miliardi di euro a favore del reddito di cittadinanza, che prima dei tagli erano 9. Sarebbero inoltre 5 milioni i beneficiari potenziali, ossia gli italiani che secondo l’Istat versano in uno stato di povertà assoluta con un reddito annuo inferiore a 9 mila euro. Potranno beneficiare della misura anche più persone all’interno della stessa famiglia, purché abbiano un reddito mensile inferiore alla soglia minima fissata sui 780 euro mensili. I richiedenti dovranno comunque essere alla ricerca di un’occupazione, in quanto l’obiettivo del provvedimento è aiutare i cittadini a reinserirsi nel mondo del lavoro. Ma non basta: i soggetti che avanzeranno la richiesta dei 780 euro mensili non dovranno avere un conto in banca che supera i 5 mila euro, o una seconda casa, o un’auto immatricolata in tempi recenti. La proprietà della casa in cui si vive abbasserà inoltre l’assegno a circa 500 euro. Si potrà usufruire del sussidio per un tempo limitato di 18 mesi, durante il quale occorrerà impegnarsi frequentando corsi nei centri per l’impiego (che verranno potenziati anche grazie ad un miliardo di euro messo a disposizione), e dedicando almeno 8 ore a settimana a lavori di pubblica utilità nel comune dove si risiede. I cittadini che rifiuteranno fino a tre proposte di lavoro perderanno il sussidio.
Il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, ha parlato di “accordo non perfetto” aggiungendo che “se le cose dovessero andare male, possiamo tornare sulla questione a gennaio”. Il premier Conte, in un’intervista al Corriere della Sera, ha a sua volta ammesso che “è stata una trattativa con alti e bassi, che ho cercato di affrontare con perseveranza e tenacia”, ha spiegato il presidente del Consiglio ribadendo di aver raggiunto “un obiettivo utile” per il Paese. “Ho cercato di perseguirlo sapendo che c’erano condizioni non solo tecniche ma politiche delle quali tenere conto nell’interesse del Paese”, ha affermato Giuseppe Conte sottolineando che “con l’Europa bisogna dialogare, sempre”, ma “bisogna anche farlo senza rinunciare al proprio programma politico e ai propri obiettivi”. Le opposizioni lamentano comunque il fatto che sia una manovra scritta dai commissari di Bruxelles.
In definitiva l’Italia ha dovuto accettare le limitazioni dettate dalla Commissione europea tra cui il taglio di 4,2 miliardi di euro di investimenti, il ridimensionamento di quota 100 e reddito di cittadinanza con il congelamento di circa 2 miliardi di risorse a salvaguardia dell’accordo, e una previsione di crescita che dall’1,5 e scesa all’1 per cento. La Commissione Ue continuerà inoltre a vigilare affinché l’Italia non perda la rotta, “condizione per non far partire la procedura”.
In una prospettiva di rigore istituzionale, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ribadito che l’Europa “non è un vincolo esterno” bensì “un moltiplicatore delle nostra influenza internazionale”. Occorre inoltre evitare “il rischio di un cortocircuito tra l’urgenza di dare risposte veloci, sollecitate da emotività e timori, e la necessità di tempi più lunghi, necessari a definire soluzioni efficaci, durature e sostenibili”, soprattutto di fronte a grandi questioni come il clima, il terrorismo, l’immigrazione.
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