Circoncisione tra immigrazione e integrazione
La vicenda di Monterotondo, la drammatica morte di un bambino a seguito di un intervento di circoncisione eseguito da un sedicente medico, ha portato alla luce un drammatico problema che forse non è stato appieno compreso. Il fratellino gemello è stato ricoverato al fine di valutare le conseguenze dell’intervento cui, anche lui, è stato sottoposto. A lui i migliori auguri. Leggendo articoli e commenti, oltre alle inevitabili reazioni sui social, il fatto è stato ovviamente ricondotta nella solita inutile e sterile polemica di stampo razzista, ma questo episodio ha risvolti che devono essere valutati con maggiore attenzione specialmente dalle istituzioni.
Quella della circoncisione è una pratica religiosa, praticata nell’ebraismo e nell’islam e che, come tale, non può essere oggetto di inutili polemiche, tranne da parte di chi non tolleri la libertà di scelta religiosa, salvo considerare come venga eseguita su bambini che non hanno voce in capitolo. Ma lo stesso avviene con il battesimo e, in molti casi, la prima comunione nel cattolicesimo.
L’episodio di Monterotondo pone invece inquietanti interrogativi sulle sue modalità, vale a dire l’esecuzione dell’intervento da parte di un soggetto che ha operato fuori da ogni legalità e, da quanto riferito dagli investigatori, probabilmente su larga scala. Omicidio colposo o preterintenzionale sono le più probabili ipotesi di reato cui sarà chiamato a rispondere, salvo diversi risultati dell’autopsia e delle successive indagini. Viene ovviamente da chiedersi quanti altri “interventi” l’autore di questo fatto abbia portato a termine, forse su bambine oggetto di infibulazione o altre pratiche di mutilazione sessuale che, è bene ribadire, sono considerate reato dal nostro codice penale. Questo individuo, viene riferito con passaporto americano, si è comunque liberamente mosso sul nostro territorio per svolgere un’attività comunque illegale nelle sue modalità.
Ulteriore e ben più grave considerazione è su come la madre dei gemellini, in Italia per ragioni umanitarie e assistita da un’associazione che svolge attività di protezione e tutela immigrati, abbia potuto liberamente contattare questo presunto medico e far sottoporre i figli all’intervento in strutture che si presumono controllate. Chi si è dimostrata attenta e scrupolosa nel richiedere le pratiche per l’accoglienza, ha dimostrato totale disprezzo delle regole quando ha dovuto (decidendo da sola o con chi?) optare per l’adempimento ad un dogma religioso.
In questo ben possiamo dire che i nostri sistemi di integrazione hanno fallito, quantomeno a livello di informazione. Poco credibile, invero, che gli operatori dell’associazione da cui la donna era assistita, non l’abbiamo resa edotta delle possibilità di accedere al servizio sanitario per le più normali cure mediche cui la donna avrebbe potuto accedere anche per l’intervento di circoncisione.
Paura della donna nel richiederlo? Vergogna davanti a chi non lo avrebbe compreso? O forse una mancata accettazione di un diverso modo di vivere? Difficile trovare una risposta che, per il momento e nel caso specifico, è lasciata agli inquirenti, ma che dovrà, in ogni caso, essere trovata a più ampi livelli.
Ciò che è certo è il dato di fatto che questo intervento è stato eseguito senza nemmeno quel minimo di condizioni di igiene sicurezza minima tecnica medica; e abbiamo visto il risultato. La domanda che ovviamente ci si pone adesso è quante decine, o centinaia, o forse migliaia di casi esistono in Italia di interventi eseguiti con queste modalità. Magari su bambine.
Quante donne non si sono rivolte al servizio sanitario nazionale che, ricordiamolo, può eseguire questi interventi? Forse non con costi abbordabili, e su questo, trattandosi di scelta religiosa possiamo discutere
Sorge peraltro un ulteriore interrogative se queste donne siano consapevoli dei loro diritti e se siano sufficientemente informate da parte di chi garantisce loro protezione, ma allo stesso modo viene da chiedersi come tutto ciò possa influire in quella integrazione che è la base di una corretta gestione dell’immigrazione.
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