Referendum propositivo e democrazia digitale

Fra i temi all’attenzione della Legislatura vi è il ‘Referendum Propositivo’; tale innovazione volge a superare il limite attuale previsto dalla Carta che ammette le consultazioni popolari solo in direzione abrogativa. Il fine del nuovo ordinamento è di avvicinare la politica ai cittadini consentendo a questi ultimi di far partire iniziative legislative dal ‘basso’. Inevitabile valutare con attenzione i punti critici, in primis la partecipazione, che a parte grandi temi oramai coperti di polvere, quali divorzio e aborto, si attesta normalmente ai minimi termini. Proprio in tal senso le indicazioni del Parlamento volte a stabilire un quorum minimo ben al di sotto del 50%+1 attualmente in vigore; le proposte di non fissare alcuna soglia è caduta per il pericolo che una minima parte dell’elettorato, ma particolarmente attiva, potesse influire sulla vita della maggioranza cosiddetta ‘silenziosa’. Nella mediazione tra i due attori al governo, tendente al No quorum da parte M5S e soglia del 33% nelle intenzioni leghiste, si è scelta una via mediana del 25%.

L’ispirazione all’introduzione di questo elemento di democratica partecipazione dei cittadini non casualmente è figlia del M5S, l’idea di una democrazia partecipativa fondata quanto più possibile sul web è uno dei primi mantra di Beppe Grillo. Idea poi portata avanti con ancora maggior determinazione da Gianroberto Casaleggio tramite l’idea Gaia, un nuovo ordinamento chi mondiale avrebbe garantito ai cittadini del mondo, non più confinati nei singoli stati, pace e benessere. Davide Casaleggio è arrivato a teorizzare la chiusura del Parlamento tout court e la consultazione popolare demandata esclusivamente sul web. Idea affascinante in linea filosofica, una assemblea permanente che si esprime in tempo reale, ma che nella realtà odierna presenta molteplici zone grigie.

L’esempio della piattaforma Rousseau non è confortante, la relazione tra rappresentanti e votanti è asimmetrica, il rapporto è tra chi vota e chi è eletto, che può rispondere agli elettori, ma ciò non è possibile tra gli aderenti. Contrariamente a piattaforme simili come LiquidFeedback, Loomio e DemocracyOS, utilizzata dal Partito Pirata in Germania, da Podemos in Spagna, o dal Partido de la Red in Argentina che rendono visibili le scelte di ogni elettore. Se analizziamo la democrazia sul web a livello globale ci accorgiamo come il mondo digitale sia in mano a 4 aziende che vengono identificate come GAFA (FANGS in inglese), Google+Apple+Facebook+Amazon. Secondo le analisi di Interbrand occupano 4 dei primi 7 posti nella classifica mondiale dei marchi più influenti, cresciuti in maniera esponenziale nella totale assenza, se non acquiescenza, dei governi.

La democrazia 2.0 pare più una oligarchia ristretta ad una serie di poteri forti che la usano per influenza e gestire. Il web democratico vagheggiato da Tim Berners-Lee è ben lontano dalla realtà attuale, uno dei pilastri fondamentali, la Net Neutrality, è stato abbattuto dall’amministrazione Trump. Lo scorso 14 dicembre la Federal Communications Commission ha concesso il via libera al web a due velocità, consentendo agli operatori di offrire un servizio più veloce alle aziende che pagano, o che pagano di più. I provider potranno veicolare prioritariamente i contenuti che vorranno e dare velocità diverse a seconda di quanto vogliono mostrare e di quanto gli utenti vorranno e potranno pagare, si va verso un web veloce per i ricchi e lento per gli altri, e con contenuti mirati. In un documento pubblicato dalla In-Q-Tel, azienda che ha finanziato Facebook con la mirabolante cifra di $27.000.000, si legge che “La sorveglianza dei social network acquista per i governi sempre più importanza quando si tratta di tenere sott’occhio i movimenti politici nascenti”.

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