Cronache dai Palazzi
In Europa il dialogo non è liscio come l’olio. “Me li aspettavo, gli attacchi”. Ha affermato il premier Conte di ritorno da Strasburgo. Nell’aula del Parlamento europeo il presidente del Consiglio è stato attaccato verbalmente da alcuni deputati. “Non prevedevo la scompostezza, le falsità”, ha ammonito Conte consapevole del prezzo da pagare per il suo “governo che esprime il cambiamento in atto in Italia e in Europa. Per questo mi hanno attaccato”, ha chiosato il premier, aggiungendo: “Molti di loro sanno che non verranno rieletti. Sono figli di forze con una vecchia ispirazione. Il nuovo vento li spazza. Mi dispiace solo che per colpirmi siano ricorsi a falsità, tipo che facciamo morire i bambini africani in mare o che difendiamo il venezuelano Nicolàs Maduro”.
Alcune delle parole più aspre sono state pronunciate da Guy Verhofstadt, il leader liberale e europeista belga, protagonista anche di un accordo con il Movimento Cinque Stelle quando circa due anni fa aveva trattato a lungo per far entrare i pentastellati nel suo gruppo Alde. Il discorso nell’aula del Parlamento europeo dello scorso martedì ha mostrato un’Italia un po’ in sordina, depotenziata nel rapporto con gli alleati storici (soprattutto con la Francia dopo gli episodi degli ultimi giorni), ben lontani dall’aria che circolava a dicembre quando il premier Conte seppe affrontare con maestrìa il dialogo con le istituzioni europee, evitando una pesante procedura di infrazione contro il nostro Paese a causa della nuova legge di Bilancio.
Il premier Conte non ha comunque interpretato la diffidenza e le polemiche come un logoramento di credibilità nei confronti del governo giallo-verde”, al limite ha intravisto una prospettiva diversa. “Semmai, ho visto nella polemica contro di me il tentativo di esorcizzare le novità di cui il mio governo è portatore”, ha affermato Conte. “Tutti parlano di stabilità finanziaria, meno di stabilità politica e sociale. E si trascura il consenso interno altissimo che la mia maggioranza ha, altri Paesi no. Il premier socialista Pedro Sànchez, in Spagna, sta andando dritto verso il voto anticipato. In Belgio sul fiscal compact c’è stata una crisi di governo”.
Il premier Conte sottolinea la tenuta del Bel Paese ed evidenzia la relativa stabilità altrui, che in alcuni casi è addirittura instabilità, magari mascherata. “Nei quaranta minuti del mio intervento ho cercato di far capire lo stato di crisi dell’Unione Europea e di indicare le strategie per uscirne. Sono stato critico e costruttivo. Loro, invece, no”, ha sottolineato il presidente del Consiglio.
Per quanto riguarda i rapporti con la Francia Conte ha elogiato il presidente Mattarella che “come sempre si è mosso bene”, ma “non pensavo che la polemica potesse protrarsi a lungo”, ha affermato. A proposito della questione dei gilet gialli e il leader Di Maio, “più che di errore, parlerei di divergenza su un episodio. Sarebbe stato un errore se Di Maio si fosse mosso nel suo ruolo di governo”, è la sintesi di Conte. “È andato come leader del M5S. Anche quando l’ungherese Vktor Orbàn di recente è venuto a incontrare il vicepremier leghista Matteo Salvini, è stato un incontro politico, tra leader di partito, e si è svolto a Milano”. Tornando ai gilet gialli “per quanto in modo confuso e a volte sbagliato, cercano di interpretare quanto di nuovo si sta muovendo nella società francese, che piaccia o no. A Strasburgo, invece, ho visto riaffiorare la vecchia politica”, ha chiosato il premier.
A proposito delle elezioni europee di maggio “faccio il premier, non il candidato europeo. Non mi è stato proposto e non ho dovuto rifiutare niente”, ha chiarito Conte. Le previsioni economiche di Bankitalia rappresentano invece un “capitolo complesso”.
“Il problema dell’Italia è il debito pubblico”, ha affermato il Governatore di Bankitalia Ignazio Visco, e “lo spread deve restare sotto quota 300”. Di fronte alla platea della Bocconi, Visco ha sottolineato che la crescita dell’Italia purtroppo si “è fermata nel 1995” a causa di un “ritardo straordinario di politica, sindacato e impresa”. Il segreto per la ripresa sarebbe “spingere le imprese a investire” e non “mandando in pensione prima le persone perché il lavoro non si trasferisce, ci sono le tecnologie”. Inoltre per quanto riguarda “il credito bancario, pur rimanendo una fonte di finanziamento essenziale, non potrà da solo sostenere la crescita degli investimenti”, ha evidenziato Visco. In definitiva “diverrà ancora più rilevante lo sviluppo dei segmenti di finanza non bancaria” e per il Governatore della Banca d’Italia l’abolizione della normativa sull’Aiuto alla crescita economica (Ace), come previsto dalla manovra, non rappresenta un aiuto valido per sostenere la ripresa.
Per quanto riguarda l’autonomia di Bankitalia, Ignazio Visco ha ribadito le parole di Carlo Azeglio Ciampi quando era Governatore: “Noi in ogni caso siamo autonomi, perché quello che conta è l’autonomia di giudizio”. Tutto ciò dopo gli attacchi del governo gialloverde che ha chiesto di rivedere il direttorio di Via Nazionale. “La forza di coloro che operano in Bankitalia – ha sottolineato Visco – e non avere timori a esprimere il proprio giudizio, soggetto alla critica aperta all’interesse di tutti. E questo continueremo a esercitarlo”.
A proposito di una prossima crisi tanto annunciata Visco ha affermato: “Qualcuno dice che ci sarà un’altra recessione. È possibile”. Anche se “le prime due crisi sono state di natura finanziaria la prossima potrebbe avere origini diverse”. In definitiva il “problema dell’Italia è il debito pubblico, non il debito pubblico nei bilanci delle banche”, ha ammonito Visco spiegando inoltre che “in Italia la crescita si abbassa e il tasso d’interesse sul debito sale: adesso è il doppio di quello che era otto mesi fa e la crescita è la metà”. Per quanto riguarda lo spread, invece, “non deve essere 300, deve stare sotto com’era un anno fa, serve che ci siano politiche mirate per la crescita e riforme fiscali che vanno viste nel complesso”.
Rispetto alla crisi del 2011 “la situazione è diversa, è vero che il peso del debito sovrano nei bilanci delle banche è raddoppiato”, ma in questo frangente “sono più accorte”. Gli istituti di credito “hanno rafforzato la base patrimoniale” e, piuttosto, per Visco “il problema delle banche è di modernità, di come si pongono di fronte ad un mondo nuovo, se devono essere più solide, aggregate, di come devono affrontare i nuovi business model riducendo i costi”.
Si discute infine di autonomie regionali tra Palazzo Chigi e i territori, anche se il governo non ha ancora deciso. Troppi nodi forse, soprattutto sulle risorse finanziarie. “Serve un vertice politico”, ha dichiarato Matteo Salvini senza alimentare ulteriori polemiche che potrebbero compromettere l’intesa con i Cinquestelle, nella quale il premier Conte è mediatore. “Ci vorrà tempo, le questioni sono del tutto nuove. Ma sull’autonomia indietro non si torna”, è stata la sintesi del leader leghista.
“Prima delle Europee non ci sarà nessuna legge” è stata invece la dichiarazione di Di Maio. Dai vertici del Movimento contestano ad esempio che “è contro la Costituzione mettere i fabbisogni standard in relazione alle capacità fiscali delle Regioni”. La stessa Carta costituzionale prevede un fondo perequativo per le Regioni più disagiate e garantisce diritti omogenei su tutto il territorio nazionale. Si respira quindi aria di incostituzionalità e comunque si avverte la necessità di una revisione dei documenti prima che l’autonomia regionale differenziata approdi in Parlamento.
La ministra leghista per gli Affari Regionali e le Autonomie, Erika Stefani, ha illustrato i punti sui quali i ministeri trainati dalla Lega (tra cui Interni, Agricoltura, Pubblica amministrazione) hanno assicurato il proprio ‘sì’ al rafforzamento dei poteri delle Regioni e quali, invece, sono ancora in attesa in quanto i pentastellati non avrebbero concesso il via libera (Sanità, Ambiente, Infrastrutture, Beni culturali). Le tre bozze, d’accordo con l’esecutivo, dopo essere state firmate dai governatori dovranno essere esaminate dalla bicamerale degli Affari Regionali e, successivamente, sotto forma di tre distinti disegni di legge, essere approvate dalle Camere a maggioranza assoluta.
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