Salvini e TAV

Il Senato, con il decisivo concorso dei 5Stelle, respingerà in Assemblea l’autorizzazione a procedere per Salvini, mentre le due parti della maggioranza sembrano accordarsi su un rinvio di decisione sulla TAV, con la prospettiva di riesaminare tutta la situazione.

È facile e tentatore per l’opposizione accusare una sorta di “voto di scambio” e indignarsi per esso. Sono lontano sia dalla Lega che dai 5Stelle, ma penso che una certa obiettività vada sempre salvaguardata. Respingere la richiesta di autorizzazione a procedere per il caso Diciotti risponde certo a una scelta di convenienza politica, non certo a una considerazione di merito. Una scelta politica imposta dai vertici del Movimento, dietro la foglia di fico del referendum online (il modo in cui era posto il quesito conduceva scopertamente a quel risultato); ma ha un fondamento logico: si può e magari si deve deplorare il comportamento tenuto per alcuni giorni dal Ministro dell’Interno nella vicenda Diciotti – fu poco umano, politicamente discutibile – ma rientrava nelle prerogative istituzionali dell’Esecutivo. Specie se Conte, Di Maio, Toninelli, dichiarano di averlo avallato. Processare un governo per un atto di sovranità è un’aberrazione che può venire in mente solo a certi Magistrati: certi, non tutti, visto che il Procuratore Generale di Catania, a cui spettava promuovere l’azione penale, aveva chiesto l’archiviazione. Dunque: indigniamoci magari per il razzismo di Salvini, ma riconosciamogli il diritto di prendere le decisioni che competono alla sua carica. Un po’ di buon senso: ci sono problemi ben più seri e critiche ben più fondate all’operato del Governo, non perdiamo tempo in guerriglie sbagliate, su temi, tra l’altro, su cui l’Esecutivo trova ampio appoggio tra la gente.

Tra le cose più serie c’è certamente la TAV. Ragionare serenamente su di essa pare impossibile, ma è necessario. Sono in gioco varie questioni: difesa dell’economia e dell’occupazione, futuro sviluppo di tutta un’area del Nord, inserimento dell’Italia nelle grandi reti europee e, non ultima, la credibilità internazionale del nostro Paese. Cose troppo serie da essere lasciate al gioco delle impuntature ideologiche. Tecnicamente, il parere della Commissione ministeriale è servito a ben poco, visto che, appena conosciuto, è stato bersagliato dalle critiche più severe (basta pensare che, tra le “perdite” mette la diminuzione degli introiti per pedaggi sulle autostrade, trascurando del tutto il fatto che meno traffico stradale significa meno inquinamento e quindi netto vantaggio per l’ambiente e la società). E non quantifica il fatto che, revocando l’opera, l’Italia dovrebbe risarcire la Francia e ridare soldi all’UE.

Come ha detto il Sindaco di Milano, con la sua politica il Governo ci sta mandando in serie B in Europa. Ed è purtroppo vero: nel resto del Continente – basta per rendersene conto un rapido giro oltralpe – vanno avanti modernità, sviluppo, interconnessione, grandi opere, fiorenti scambi transfrontalieri, sostegno alla ricerca, all’innovazione e al lavoro. Da noi, scegliamo la strada dell’assistenzialismo retrogrado. Così possiamo solo andare indietro, come in fondo piace ai populisti di vario tipo, perché è molto più facile mantenere il consenso di un popolo dipendente dalle elargizioni pubbliche, che gente prospera, libera e abituata a reggersi da sola. In fondo, il nodo del problema sta qui: tra destinare le risorse pubbliche a creare infrastrutture, sviluppo, occupazione, o distribuirla a pioggia con interventi assistenzialisti. All’estremo limite, è come scegliere per il futuro tra Svizzera e Venezuela. È la questione su cui si definirà il futuro, non solo del Governo, che sarebbe poca cosa, ma del Paese.

In questa luce, la TAV è un test cruciale, una cartina di tornasole. Non è una partita facile: i 5Stelle fanno del No-TAV una bandiera, forse neppure loro sanno bene perché, ma come succede talvolta si resta ingabbiati nelle promesse elettorali e non rispettarle sa di sconfitta. La Lega, però, per le sue radici nordiche e di fronte alla mobilitazione del mondo economico piemontese, non può essere d’accordo.  Per ora il problema è stato rimandato, anche se con qualche danno per il ritardo dell’opera  (ma prendere tempo è talvolta la sola via d’uscita).

Ma il problema resta e dubito che possa essere risolto con la vittoria netta di una delle due parti. Probabilmente si cercherà un compromesso, magari con una riduzione o redistribuzione dei costi. È possibile? Non lo so. Ma una cosa è certa: nessuna soluzione seria può aversi senza la buona volontà degli altri due interessati: Francia e Unione Europea. Il che conferma ancora una volta la suicida insensatezza di fare loro la guerra.

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