Van Gogh (Film, 2018)

Dire qualcosa di nuovo su Vincent Van Gogh non era facile, perché la biografia del folle quanto geniale pittore è universalmente nota, inoltre in tempi recenti c’è stato un ottimo cartone animato di successo che ne ha rinverdito i fasti (Loving Vincent). Serviva un regista geniale come lo statunitense Julian Schnabel, di origini ebree, già autore di Prima che sia notte – straordinaria biografia terminale della vita di un poeta maledetto come Reinaldo Arenas – e di un’opera toccante e lucida come Lo scafandro e la farfalla. Inoltre Schnabel è un pittore molto conosciuto sulla scena newyorchese, interessato alla cinematografia d’arte, al punto che il suo debutto è Basquiat (1996), sulla vita del pittore Jean-Michel Basquiat, morto per overdose di eroina nel 1988.

Van Gogh-Sulla soglia dell’eternità narra gli ultimi anni di vita del genio, la tormentata amicizia con Paul Gauguin, il rapporto con il fratello Theo, gli anni in manicomio, i brevi periodi di lucidità che gli consentono di dipingere quasi ottanta tele, la vita a Parigi, Arles, Saint Rémy, Auvers-sur-Oise, la diffidenza dei contemporanei, i suoi pensieri religiosi, la sua idea di colore e di pittura. In definitiva Schnabel racconta Van Gogh con le sue stesse parole, girando tutto il film in soggettiva, usando spesso la macchina a mano, impostando una colonna sonora tragica e una fotografia gialla che ricorda i colori delle opere del pittore olandese. Una tecnica straordinaria che sfrutta il piano sequenza, il ralenti, le dissolvenze incrociate e le volute sfocature, ricca di primissimi piani e di momenti teatrali. La macchina a mano è nervosa, realizza inquadrature mosse, a tratti segue i pensieri del pittore, composta di immagini in rifrazione e in ritardo sulla realtà contemporanea.

Importante la recitazione degli attori, primo tra tutti uno straordinario e ispirato Willem Dafoe (doppiato da Mario Cordova), ma non sono da meno Rupert Friend (Theo), Oscar Isaac (Gauguin), Mads Mikelsen (prete) e Vladimir Consigny (dr. Felix Ray). Van Gogh-Sulla soglia dell’eternità è film d’autore e film d’arte, perché il regista ha il pieno controllo sullo specifico filmico: il montaggio. Non solo, a parte la fotografia (curata da Benoit Delhomme) si occupa di tutto, dalla colonna sonora (coordinatore di Tatiana Lisovkaia) alla sceneggiatura. Produzione francese, con un cast composto da attori statunitensi e francesi, ma il modo di girare di Schnabel è da cinema indipendente, più vicino al miglior cinema introspettivo europeo che ai kolossal nordamericani.

Un film intenso e profondo, poetico e commovente, girato tra interni claustrofobici ed esterni ampi e spaziosi, inondati di luce, come la pittura di Van Gogh. Il finale propende per la tesi – mai dimostrata – della morte del genio in seguito a un incidente, un colpo di pistola sparato da un ragazzo in modo fortuito, durante una colluttazione con un amico. Coppa Volpi a Venezia per Dafoe, che è naturalizzato italiano, quindi può concorrere. Imperdibile.

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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