Sudan, Omar al-Bashir azzera il Governo
Lo scorso 22 Febbraio il Presidente sudanese ha dichiarato lo stato di emergenza in tutto il Paese. Ha anche azzerato gli organi dirigenti di tutte le provincie del Sudan.
Nel Paese c’è aria di crisi sempre più profonda. Omar al-Bashir ha dichiarato lo stato di emergenza in tutto il Paese annunciando contemporaneamente il siluramento del Governo e degli organi a capo delle diverse provincie sudanesi. Da due mesi a questa parte il Paese è scosso da manifestazioni che chiedono l’allontanamento del Presidente Bashir. Ma lui non arretra di un passo. “Annuncio lo stato di emergenza in tutto il Paese per un anno”, ha dichiarato alla televisione durante un discorso alla nazione. “Annuncio il dissolvimento del Governo sia a livello federale che provinciale”, ha poi precisato. “Il nostro Paese attraversa una situazione difficile e complicata, la più difficile della sua storia”, ha affermato Omar al-Bashir. “I problemi economici devono essere risolti da persone qualificate e, per questo, formerò un Governo composto da persone con le competenze richieste”, senza precisare però quando questo Governo verrà ufficializzato. In pieno marasma economico, il Sudan è da diversi mesi teatro di manifestazioni quotidiane innescate dalla decisione del Governo di triplicare il prezzo del pane. La contestazione si è velocemente trasformata in movimento che chiede la “caduta” del Presidente Bashir, al potere dal 1989. In risposta ai proclami di Bashir, l’Associazione dei professionisti sudanesi (APS), elemento di punta del movimento di contestazione, ha affermato che continuerà ad organizzare manifestazioni fino a che Omar al-Bashir, al potere da trent’anni, dimissioni.
La contestazione si è rapidamente trasformata in movimento per la caduta di Presidente Bashir, che guida con pugno di ferro il Paese dal 1989. Ma il movimento costituisce per gli esperti, la più grande sfida che gli si sia mai presentata in tutti questi anni. Il potente Servizio Nazionale di Intelligence e Sicurezza (Niss) porta avanti la repressione nei confronti del movimento e dallo scorso Dicembre ha già arrestato, secondo i dati rilasciati da diverse ONG, centinaia di manifestanti, leader dell’opposizione, militanti e giornalisti. I dati ufficiali dicono che dal 19 Dicembre ad oggi sono morte 31 persone. L’ONG Human Rights Watch (HRW) parla di 51 vittime, tra le quali si trovano bambini e personale medico. Il Presidente, che imputa le violenze a sedicenti “cospiratori”, a Gennaio aveva dichiarato che l’unico modo di cambiare la classe dirigente era quello di indire elezioni. Nonostante la repressione in atto, l’Associazione dei professionisti sudanesi, che unisce soprattutto medici, insegnanti e ingegneri, mantiene alta la pressione chiedendo manifestazioni quotidiane in tutto il Paese. “Esortiamo il nostro popolo a continuare le manifestazioni fino a che l’obbiettivo principale di questa rivolta, che è l’estromissione del capo del regime, non venga raggiunto”, ha sottolineato in un comunicato emanato il 22 Febbraio, subito dopo il discorso del Presidente. Ancora il giovedì che precedeva l’annuncio di Bashir, diverse manifestazioni hanno avuto luogo in numerose città del Paese, tra le quali la capitale Khartum, dove sono stati arrestati diversi militanti e membri dell’opposizione. L’APS aveva chiesto ancora una volta ai manifestanti di dirigersi verso il palazzo presidenziale per consegnare una lettera nella quale si chiedevano le dimissioni del Presidente. Il principale capo dell’opposizione Sadek al-Mahdi ha affermato appoggiare il movimento. Ultimo Primo Ministro democraticamente eletto in Sudan, era stato estromesso dal potere dal colpo di Stato organizzato nel 1989 da Omar al-Bashir.
La repressione delle manifestazioni ha suscitato molte critiche all’estero. Un alto funzionario americano la scorsa settimana ha dichiarato che l’uso di “violenza eccesiva” da parte delle forze di sicurezza sudanesi per reprimere le manifestazioni era inaccettabile e che questa potrebbe rimettere in discussione i colloqui in corso per ritirare il Sudan dalla lista americana di “Stati che sostengono il terrorismo”. Gli Stati Uniti hanno da poco normalizzato le relazioni diplomatiche con il Sudan dopo decenni di tensioni. Ricordiamo che Khartum aveva accolto il capo di Al-Qaeda Osama Bin Laden negli anni ’90. Il Governo di Donald Trump ha deciso nel 2017 di togliere alcune sanzioni imposte al Sudan nel 1997. Gli Stati Uniti hanno però lasciato il Sudan sulla lista nera degli Stati che sostengono “il terrorismo”, e dichiarato che non l’avrebbero cancellato da quella lista fino a che non ci fossero stati visibili progressi. Al di là della riduzione dei sussidi per il pane, il Sudan, amputato di tre quarti delle sue riserve petrolifere dall’Indipendenza del Sudan del Sud nel 2011, deve confrontarsi con un’inflazione del 70% annuo e una grande penuria di valuta estera. Gli abitanti devono fare i conti con regolari penurie di cibo e carburante, laddove i prezzi di alcuni prodotti subisce importanti aumenti.
Dichiarare lo stato di emergenza e azzerare così repentinamente il Governo e gli organi provinciali rischia di innescare l’ennesima spirale di violenze in un Paese già in sofferenza da troppo tempo. La promessa di elezioni verrà mantenuta? L’atmosfera attuale non sembra favorirle. La Storia, ancora una volta, non pare aver lasciato nessun insegnamento.
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