Italia, in recessione tecnica o economica?

Le notizie recenti indicano che l’Italia è entrata nel recinto della recessione tecnica. Tale fenomeno si verifica quando il PIL registra un segno negativo per due trimestri consecutivi. In misura differente si pone la recessione economica, che si manifesta quando si è in presenza di una variazione negativa del PIL tendenziale, cioè nei confronti dell’anno precedente. Se l’entità della variazione risulta essere negativa ma non inferiore al -1% si tratta di crisi economica. Pertanto l’Italia, in questo periodo, non rientra in uno scenario di recessione economica, poiché la variazione tendenziale del quarto trimestre 2018 è risultata uguale all’1%, rispetto al quarto trimestre 2017.

Al di là dei tecnicismi e delle definizioni, ci si chiede: l’Italia è mai uscita dalla recessione economica provocata dalla crisi finanziaria del 2007? L’Italia si aggira intorno ad una crescita pari allo zero da circa 10 anni; da decenni abbiamo un problema di crescita debole, infatti l’Italia è il paese che a partire dal 2000 è cresciuto meno rispetto agli altri partner più virtuosi.

Durante la crisi il nostro PIL si è decrementato più degli altri e durante le timide fasi di espansione è cresciuto meno, sempre nei confronti degli altri. Alcune considerazioni politiche agganciano la recessione tecnica ad un fenomeno esogeno, cioè determinata da fattori esterni. Certamente le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina e la Brexit non giocano un ruolo positivo nei confronti dell’economia italiana, anzi alimentano un clima di incertezza.

È anche vero che riveste particolare importanza evidenziare le debolezze strutturali tutte italiane, riconducibili a un fenomeno endogeno. Ad esempio la produzione italiana è fortemente concentrata su specializzazioni in settori maturi, che presentano deboli margini di crescita, mentre siamo carenti in quelle che registrano margini di profitti più ampi come l’elettronica. Anche per quanto riguarda i settori tradizionali siamo in affanno, poiché non destiniamo risorse sufficienti per ricerca e innovazione, con la conseguenza di essere poco competitivi sia sul mercato interno che su quello internazionale.

A rendere ancora più problematica l’economa italiana è lo scenario futuro. L’enorme debito pubblico, ormai superiore al 130% del PIL, combinato con un PIL in discesa, rappresenta un problema strutturale, che non consente margini di manovra in grado di sostenere la crescita. Inoltre, le dinamiche demografiche in corso, come ad esempio la diminuzione della popolazione in età lavorativa, rappresentano delle pressioni sulla crescita del debito.

Reddito di cittadinanza e quota 100 sono misure, sostanzialmente, assistenziali che riescono a contrastare il fenomeno della povertà, ma difficilmente potranno sostenere uno sviluppo duraturo. L’economia si nutre di aspettative e se queste sono negative, poiché contrassegnate da una forte incertezza, non sarà possibile incrementare consumi e investimenti. Anzi è probabile che l’attuale governo incontri delle difficoltà per elargire il reddito di cittadinanza e realizzare quota 100.

Nel rapporto deficit pubblico/PIL, se il denominatore cresce si crea la possibilità di espandere il deficit, viceversa bisogna contrarre la spesa per mantenere il rapporto deficit/PIL al 2,04% come promesso dal governo nell’ultima Legge di bilancio.

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