Sulla Via della Seta
Il Ministro Tria ha definito la controversia sull’imminente accordo Italia-Cina “una tempesta in un bicchier d’acqua”. Conte ha difeso con energia l’iniziativa, sostenendo che essa non va in alcun modo contro la collocazione atlantica ed europea dell’Italia. Berlusconi è partito all’attacco, parlando di rischio per la nostra libertà e preoccupazione per il futuro dei suoi figli. Chi ha ragione?
La prima constatazione è che si tratta di un “memorandum d’intesa” tra governi, non di un accordo internazionale soggetto a ratifica e creatore di obblighi giuridici. Su questo punto Conte ha ragione, ma solo a metà: è un po’ strano che lo stesso governo che firma l’intesa dichiari che non è giuridicamente vincolante; sarà pur vero, ma mette comunque in piedi impegni di buona fede ed è certo che così lo vedono a Pechino. Occorre dunque guardare con attenzione il suo testo. Esso è sufficientemente ampio e generico da non creare allarmi immediati. Inoltre, come ha ricordato il Premier nella sua intervista al Corriere, sono a più riprese richiamati i limiti e gli obblighi derivanti dalle norme internazionali e dalle politiche definite dall’Unione Europea. È anche esatto che altri paesi europei hanno già firmato analoghe intese con la Cina, ma l’argomento non è di prima forza, giacché si tratta di paesi minori e marginali (altro sarebbe il caso se tra di loro ci fossero Francia e Germania; quest’ultima, tuttavia, sul piano pratico, è da tempo e di gran lunga in testa nei rapporti col gigante asiatico)
Nel merito, è inevitabile considerare che la Cina è, oggi, la seconda potenza economica mondiale e si avvia a diventare la prima, per cui sviluppare il più possibile i rapporti con lei è, per una paese con le caratteristiche dell’Italia, più che una scelta, una necessità. Non si tratta solo di esportare di più, ma di estendere la collaborazione in settori tecnologici avanzati. Ciò può essere d’innegabile vantaggio per noi. Si tratta del resto di una linea seguita da praticamente tutti i recenti governi italiani, da Prodi a Gentiloni e, ripeto, già battuta dai nostri principali partner europei. Va tenuto conto che la cosa è stata trattata da Ministeri come gli Esteri, la Difesa e l’Economia, in genere non propensi a svendere la sicurezza nazionale. Tutto bene, dunque? Si, ma con una importante riserva. È difficile non inquadrare la politica generale della Cina in una linea, non più ormai di lungo termine, ma sempre più vicina, di penetrazione economica, finanziaria, tecnologica e alla fine politica (e in certe zone, militare), in tutto il mondo. È una linea già evidente nel Pacifico, in Africa e in parti dell’America Latina e certo non escludente l’Europa. Il rischio che l’accordo con l’Italia, anello debole nella catena dei principali paesi del Continente, divenga in qualche modo la testa di ponte di questa avanzata, dobbiamo riconoscere che esiste e forse non è malizioso chiedersi perché la Cina cerchi una collaborazione formale proprio con noi, e non vanno sottostimate le preoccupazioni in questo senso affiorate in Europa (ah, la vecchia diffidenza verso l’Italia, che non facciamo altro che alimentare!). Possono esserci anche rischi sul piano militare, anche se più remoti? Impossibile escluderlo. Penso però che la NATO sia in grado di valutarli e contrastarli.
In conclusione, non credo si debba autoescludersi da una intensificata collaborazione con la Cina che possa essere di nostro beneficio, ma si deve procedere ad occhi apertissimi e con tutta la prudenza e le salvaguardie possibili. Lo ha chiesto Salvini e penso abbia ragione. Perlomeno, se non possiamo certo affidare ai grillini la protezione della nostra sicurezza e identità occidentale, siano Salvini e la Lega a farsene carico. Non è quello che proclamano sempre? Perché non avrebbe molto senso chiudere la porta a nuovi immigranti africani o arabi e poi spalancarla a una indebita penetrazione cinese.
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