Iran, condannata per aver difeso le donne velate

Nasrin Sotoudeh, rinomata avvocata delle militanti iraniane contrarie all’obbligo di indossare il velo, è stata condannata da un tribunale rivoluzionario di Teheran. La notizia ha fatto il giro del mondo, ed è di una tale gravità che parlarne non sarà mai abbastanza.

Sono ormai cinque anni che le donne iraniane sfidano in silenzio le autorità della Repubblica islamica. Portando avanti la protesta contro l’obbligo del velo dal 1979, da qualche tempo osano anche farsi fotografare senza hijab per poi diffondere le immagini sui social network in segno di sfida. Lanciato nel 2014 da Massih Alinejad, una giornalista e militante iraniana residente a Londra, il movimento ha guadagnato forza in Iran dal Dicembre del 2017. All’epoca, mentre il Paese veniva scosso da importanti manifestazioni, lo scatto del capo scoperto di Vida Movahedi appare sui social. All’incrocio di un’importante strada di Teheran, la giovane donna sventola il suo foulard bianco come fosse una bandiera. Un gesto inaudito nella Repubblica islamica, dove le donne (iraniane e non) sono tenute ad indossare il velo in pubblico, così come un ampio cappotto che nasconde braccia e gambe, cosa che non succedeva ai tempi dello Shah.

Eppure, nonostante la rigidità delle forze che controllano il potere, da una ventina d’anni il velo scivola sempre più sulle spalle delle donne e i cappotti si accorciano inesorabilmente, lasciando alle autorità come unica possibilità quella di dar prova di maggiore tolleranza. Dalla elezione alla presidenza del “moderato” Hassan Rohani, la buoncostume incaricata di perseguitare le trasgreditrici è sempre meno visibile nelle grandi città, e dal velo si intravedono di continuo ciocche di capelli ribelli, soprattutto quando le iraniane sono al volante delle loro auto che considerano come uno “spazio privato”. Tuttavia, al di là delle manifestazioni che ci sono state agli esordi della Repubblica islamica, mai le iraniane avevano così apertamente contestato l’obbligo di indossare il velo, e con un’audience così ampia. La foto di Vida Movahedi ha fatto il giro della rete in un lampo ed è arrivata ovunque, scuotendo uno dei massimi pilastri del regime iraniano. La giovane donna è stata ovviamente arrestata all’indomani della pubblicazione della foto, e non è  stata rilasciata che dopo un mese. Ma il suo gesto è servito da modello a decine di donne iraniane che hanno seguito l’esempio delle “ragazza di via Enhelab”, brandendo a loro volta il velo bianco avvolto ad un bastone o al loro braccio. Nel febbraio del 2018, una di loro appare allo stesso incrocio di via Enhelab capelli al vento, in piedi su un armadio stradale. Due agenti la fanno cadere violentemente, davanti ad alcuni curiosi indignati. “Nessun uomo ha il diritto di trattare così una donna”, scrive allora su Facebook l’illustre avvocata iraniana Nasrin Sotoudeh. Premio Sakharov 2012 del Parlamento europeo per la libertà di pensiero, questa paladina dei Diritti Umani, lei stessa incarcerata dal 2010 al 2013 per “atti contro la sicurezza nazionale” e “propaganda contro il regime”, fa suoi diversi casi che coinvolgono donne.

In totale sono una trentina le donne ad essere state arrestate, anche se la maggioranza di loro è poi stata rilasciata. Tuttavia, molte militanti vengono perseguite dalla giustizia che, per i rari casi resi pubblici, ha chiaramente deciso di farne degli esempi che arrivino a tutte. Nel Marzo del 2018, una delle contestatrici è stata condannata a 24 mesi di reclusione per aver “incoraggiato la corruzione morale”. A Luglio dello stesso anno, la militante Shaparak Shajarizadeh ha annunciato dall’estero dove vive in esilio di essere stata condannata a venti anni di prigione, dei quali due di carcere duro. In un discorso pronunciato l’8 Marzo del 2018, in occasione della Giornata internazionale dei diritti delle donne, la guida suprema e vero e proprio capo di Stato in Iran, l’ayatollah conservatore Ali Khamenei, ha cancellato con un colpo di spugna qualsiasi evoluzione giuridica sulla questione del hijab, ritenendo che togliersi il velo per strada fosse “haram” (peccato). Peraltro, non contenti di prendersela solo con le ribelli, la giustizia iraniana è arrivata ad perseguitare anche i loro avvocati. La buoncostume non vigilerà le strade come un tempo, ma le armi usate oggi sono forse peggiori.

Il 13 Giugno del 2018, Nasrin Sotoudeh è stata arrestata e chiusa nella prigione Evin di Teheran. Le è stato comunicato che era stata condannata, in seguito ad un processo al quale non aveva assistito, a cinque anni di carcere da un tribunale rivoluzionario di Teheran in base ad accuse di spionaggio. Secondo il Center for Human Rights in Iran (CHRI, Centro per i Diritti Umani in Iran), famosa ONG con sede a New York, l’avvocata è stata nuovamente condannata da un tribunale rivoluzionario di Teheran durante un secondo processo che si è tenuto in absentia lo scorso 30 Dicembre. L’accusata non ha neanche potuto scegliere un avvocato. La notizia è stata data a Hadi Ghaemi, direttore del CHRI, da Reza Khandan, marito di Nasrin Sotoudeh, che è stato a sua volta condannato lo scorso Gennaio a sei anni di reclusione, per “complotto contro la sicurezza nazionale” (oggi è libero su cauzione). La notizia per ora non è stata confermata dall’Autorità giudiziaria dell’Iran. Secondo il marito di Nasrin Sotoudeh, nessun verdetto scritto è stato presentato alla donna. Ma, secondo l’ONG, le numerose imputazioni che pesano su di lei ( “assembramento e collusione contro la sicurezza nazionale”, “propaganda contro lo Stato”, “incitazione alla corruzione e alla prostituzione”, “apparizione davanti all’autorità giudiziaria senza hijab islamico”) potrebbero portare ad una pena che arriva a diversi decenni di reclusione. Per Amnesty International, i due processi intentati contro Nasrin Sotoudeh sono “palesemente iniqui”.

“Le attività pacifiche portate avanti da Nasrin Sotoudeh contro lo hijab obbligatorio, soprattutto in qualità di avvocato difensore, così come il fatto di aver incontrato le sue clienti, sembrano essere stati utilizzati per accusarla penalmente”, afferma Amnesty. In un’intervista rilasciata la francese  Point nel Gennaio del 2018, la nota avvocata riteneva che la situazione riguardante i diritti umani si era aggravata in Iran, ricordando in quell’occasione che “gran parte del rispetto dei diritti umani in Iran dipende dal potere giudiziario”. Una giustizia che rimane in mano ai conservatori che processano a porte chiuse e senza possibilità di difendersi. In carcere da nove mesi, l’avvocata iraniana per i diritti umani pare sia stata raggiunta da una terribile sentenza, sentenza che era stata profeticamente prevista da Hadi Ghaemi: 34 anni di carcere e 148 letali frustate.

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