Brexit, ultime puntate

L’interminabile feuilleton della Brexit va avanti, di puntata in puntata, secondo la fantasia di uno sceneggiatore impazzito. L’ultima (per ora) puntata vede la signora May che, con una giravolta improvvisa, si rivolge al leader laburista, Jeremy Corbyn, invitandolo a cercare insieme una soluzione condivisa, da presentare al Parlamento.

Non una cattiva idea, si direbbe. Cercare un accordo bi-partisan su una materia così importante parrebbe normale, in una democrazia matura. Ci si può solo chiedere perché la signora May non abbia avuto questa brillante idea molto tempo prima, all’inizio del torturato percorso della Brexit. La risposta è facile: la signora era prigioniera dell’ala dura del suo partito e delle sue proprie fobie. Se si è risolta ora a tendere la mano all’opposizione, è per cercare di liberarsi dalla stretta mortale degli estremisti del suo partito e tentare di arrivare a un punto in cui i voti laburisti, sommati a quelli dei tory moderati, permettano di ottenere una  maggioranza su una proposta da presentare poi all’UE (a questo punto, qualsiasi proposta è buona), mettendo l’ala dura in un angolo.

È pensabile un accordo governo-opposizione su un qualsiasi proposta?  Se si pensa alle posizioni di partenza, e ai tanti tentativi falliti, si dovrebbe ritenere di No. Ma in questo tormentato feuilleton tutto e il contrario di tutto può accadere. A complicare le cose sta il fatto che i due protagonisti del dialogo sono in una posizione fragile, non avendo pieno controllo dei rispettivi campi. Quanto siano divisi i conservatori non è necessario dirlo. Alcuni di loro hanno violentemente protestato per la decisione di cercare un accordo con il “marxista” Corbyn e la signora May non controlla neppure il suo stesso Gabinetto, che perde pezzi ogni giorno, in protesta per le sue decisioni. Ma in fatto di divisioni anche i laburisti non scherzano. In questa fase di incontri con il Governo, due opposte  tendenze sono apparse chiaramente: chi esige che qualsiasi accordo sia sottoposto a referendum popolare, chi chiede che Corbyn lasci cadere ogni idea di referendum. La linea divisoria, intendiamoci, non è di carattere ideologico, ma eminentemente pratico: separa deputati eletti in collegi maggioritariamente pro o anti-europei. E perché Corbyn dovrebbe aiutare la May a uscire dalla disperata situazione in cui si trova, mettendo a rischio la propria leadership nel suo partito?

Se  anche un accordo emergesse, dovrebbe tradursi in una proposta da far votare al Parlamento, con una maggioranza traversale che raccolga i moderati dei due partiti (spaccando ambedue al loro interno). Tutto questo pare abbastanza improbabile, e c’è chi pensa che la mano tesa all’opposizione sia una manovra della May  o per scaricare sui Laburisti la responsabilità di un fallimento, o per dire all’ala dura del suo partito: se non votate il “mio” accordo, rischiate di trovarvi con una soluzione gradita al nemico laburista (unione doganale o altre diavolerie). Ed è possibile che Corbyn , che finora ha sbagliato quasi ogni mossa, sia caduto, consapevolmente o no, nella trappola.

Intanto, il tempo diventa sempre più ridotto. Il 10 aprile avrà luogo il Consiglio Europeo straordinario, al quale la May dovrà portare una  proposta costruttiva, o accettare l’uscita senza accordo (il Parlamento l’ha nuovamente esclusa, ma con la maggioranza di un solo voto, indizio chiaro degli umori prevalenti tra i Tory). La pazienza europea sin qui  è stata grande, e nessuno ha voglia di provocare deliberatamente una rottura, ma c’è un minimo di serietà da rispettare.

Alla fine, ogni soluzione è buona, se permette alla Gran Bretagna di andarsene, all’Unione di continuare il suo cammino, e alle due di avere in futuro tra di loro rapporti normali, come quelli che l’Europa ha con tanti paesi esterni. Senza psicodrammi e senza immeritati privilegi.

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