La NATO compie settant’anni
I Ministri degli Esteri dei Paesi membri della NATO hanno celebrato a Washington il settantesimo anniversario della firma del Trattato istitutivo dell’Alleanza. Settant’anni sono un’età rispettabile, l’età (si suppone) della saggezza senza illusioni. Ma è così? Speriamolo!
L’Alleanza nacque in una situazione di grave crisi per l’Europa. Gli americani stavano ritirando le loro truppe dal Continente, gli europei erano usciti indeboliti o distrutti dal conflitto, l’intera Europa era in rovina. Ma ad Est l’Unione Sovietica aveva mantenuto intatte le sue forze, milioni di soldati, e occupava Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Germania Orientale, controllava Jugoslavia e Albania, le sue truppe erano in Austria, una rivolta comunista minacciava la Grecia, e la stessa Turchia era in pericolo. Le ambizioni di Stalin parevano incontenibili, il blocco di Berlino era stato test della sua volontà aggressiva. In Occidente, soltanto gli Stati Uniti avevano la forza di opporvisi. E Washington rispose all’appello. Dapprima venne la dottrina Truman, secondo cui un attacco o minaccia a un Paese amico o alleato sarebbe stato considerato come rivolto agli Stati Uniti stessi. Poi, nel 1949, venne l’Alleanza Atlantica che, vale la pena ricordarlo, fu accolta con enorme sollievo da quegli stessi europei (in primo luogo i francesi) che per il seguito avrebbero fatto di tanto in tanto una aperta o discreta fronda.
L’Europa occidentale si trovò sotto l’ombrello americano. E ciò le ha garantito quarant’anni di pace, sicurezza e sviluppo economico senza precedenti. Questa è la realtà, che nessun revisionismo storico può seriamente cambiare. Certo, l’Alleanza ha comportato per i suoi membri seri limiti di azione in politica estera e interna. Certo, è stata lo strumento di una predominante influenza politica americana in Europa. Ma erano in fin dei conti prezzi non troppo esosi da pagare in cambio della sicurezza garantita, che altrimenti sarebbe dovuta essere ricercata, con dubbia efficacia e costi sociali elevati, attraverso un forte aumento delle spese militari nazionali.
Figlia della Guerra Fredda, pareva però legittimo pensare che, con il crollo della potenza sovietica, la NATO perdesse la sua ragione di essere. Questa era un’opinione diffusa, quando fui destinato alla NATO come Rappresentante Permanente d’Italia, all’inizio del 1993. Ma la realtà si mostrò differente. In quel decennio, l’Alleanza svolse, tre compiti fondamentali: portare la pace nei Balcani, offrire una sponda di sicurezza ai Paesi dell’Est che uscivano dal Patto di Varsavia e – cosa meno pubblicamente ammessa – rassicurare inglesi, francesi, polacchi, cechi, ungheresi (e gli stessi russi, per quello che mi consta) dall’incubo di una grande Germania al centro del Continente. Il tutto mantenendo con la Russia un rapporto in qualche modo privilegiato (io stesso ne sono stato a un certo momento partecipe). Di seguito, agli inizi del Terzo Millennio, è venuta la scelta, a mio avviso meno appropriata, di operare in Afghanistan, cioè del tutto fuori dell’area coperta dal Trattato di Washington.
Nel frattempo, il valore dell’Alleanza come assicurazione in vista di un ritorno aggressivo russo restava presente, anche se dormiente. Ricorderò sempre, a questo proposito, un ammonimento del Presidente polacco Lech Walesa in una riunione riservata di Rappresentanti Permanenti dell’Alleanza a Bruxelles, secondo cui la Russia, “orso ferito” per il momento ritiratosi nella sua tana, una volta sanate le sue ferite ne sarebbe prima uscito dando zampate attorno a sé.
Questa previsione si è avverata, con la Crimea e la minaccia all’Ucraina e oltre e basta da sé a far ritenere l’Alleanza tuttora necessaria (ma pensiamo anche, per quanto ci riguarda da vicino, allo stato di instabilità e pericolo nel Mediterraneo). Putin non è Stalin (casomai Pietro il Grande) e per una nuova Guerra Fredda manca la componente ideologica, che rendeva quella originale particolarmente aspra. Penso che la Russia non vada spinta al margine della collaborazione occidentale. Ma Putin è un giocatore di scacchi realista: avanza le sue pedine (Ucraina, Medio Oriente) dove trova minor resistenza. Se vogliamo proteggere l’Europa e noi stessi, la resistenza deve esistere, e non può che essere, tuttora, affidata alla solidarietà euro-americana in seno all’Alleanza, e ai suoi comprovati, e al momento insostituibili, strumenti politico-militari, che vanno certamente adattati ma non messi in pericolo. Il male che Trump ha fatto all’Occidente e agli stessi Stati Uniti sta nell’aver rimesso questa solidarietà in discussione, anche se forse soprattutto a parole (ma in politica anche le parole contano, eccome!).
Tuttavia, una domanda è legittima, e le stravaganze trumpiane la rendono più attuale: possiamo continuare a dipendere in eterno dalla buona volontà americana? Non dovremmo cercare di darci un’autonoma capacità di sicurezza e difesa? Nel mondo in cui viviamo, confrontati a potenze come USA, Russia o Cina, nessun Paese europeo ha da solo il peso necessario. Solo l’Europa nel suo insieme potrebbe, con il tempo, raggiungere uno stato di autosufficienza, ma a costi molto alti e alla condizione di una vera e propria unità di direzione e condotta. Uno sviluppo del genere non pare in armonia con lo stato delle cose in Europa (per non parlare dell’Italia).Ma se esso fosse possibile, si vada avanti senza nasconderci dietro il comodo alibi di una NATO che bloccherebbe l’integrazione militare europea (per mia diretta esperienza, ciò non è vero almeno dai tempi di Clinton). E se non è possibile, teniamoci cara la sicurezza che abbiamo da settant’anni.
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