Brexit rinviato
Dunque, il Consiglio Europeo straordinario del 10 aprile ha concesso il rinvio dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, per dare al Governo di Londra la possibilità di ottenere una maggioranza in Parlamento. Il Consiglio, però, non ha accolto la richiesta nella forma prevista della signora May, di un’estensione fino al 30 giugno. Ha invece indicato un termine massimo, il 31 ottobre di quest’anno, considerando però la possibilità di un’uscita prima di tale data, una volta che il Parlamento ratifichi l’Accordo UK-UE firmato lo scorso anno e già tre volte respinto dai Comuni. La signora May però alla fine ha accettato un rinvio più lungo, anche se questo le causerà molti mal di testa con i Tory estremisti, notando però che il Regno Unito potrà uscire molto prima del 31 ottobre (e cioè entro la data prevista del 30 giugno) se si compiono le condizioni indicate dal Consiglio, cioè la ratifica pura e semplice dell’Accordo.
La decisione dei 27 segna un compromesso tra la posizione dura della Francia, che spingeva per un rinvio breve, accettando anche l’uscita senza accordo, e quella del Presidente del Consiglio Europeo, Tusk, sostenuta dalla Germania, che era favorevole a un rinvio di un anno. Si tratta, nell’insieme, di una decisione equilibrata, che riflette la volontà della maggioranza europea di evitare un’uscita senza accordo, pregiudizievole per l’economia britannica ma anche per quella di molti Paesi membri, e di non farne ricadere la responsabilità, che in realtà è chiaramente britannica, sul resto dell’Unione. La data limite del 31 ottobre ha un senso in quanto a quella data dovrebbe entrare in funzione la nuova Commissione.
Il tono delle conclusioni del Consiglio, però, è piuttosto duro e mostra la progressiva irritazione dei 27. Si ricorda che, se la Gran Bretagna sarà ancora membro dell’Unione, il 23-26 maggio sarà tenuta a tenere Elezioni europee, o altrimenti sarà considerata fuori dall’Unione il 1 giugno. Si ripete, nel modo più fermo, che non vi sarà alcuna rinegoziazione dell’Accordo firmato. Si lascia però aperta la possibilità di rivedere la Dichiarazione Politica, che riguarda i futuri rapporti UE-UK post-Brexit. E si invita la Gran Bretagna, per il tempo che in cui resterà nell’UE, a comportarsi lealmente e in modo da non ostacolare il funzionamento dell’Unione e delle sue istituzioni (non blocchi per esempio la nomina della nuova Commissione) e il perseguimento dei suoi obiettivi. L’invito è in diretta relazione con il fatto che alcuni Tory estremisti hanno espresso l’intenzione che Londra, finché è parte dell’UE, ne saboti dal di dentro il funzionamento.
Il rinvio ha evitato l’uscita senza accordo il 12 aprile, ma tutte le difficoltà emerse in questi tre mesi restano intatte. È dubbio che la May possa alla fine convincere i Tory recalcitranti o i Laburisti ad approvare in quarta lettura l’Accordo. Certo, userà la minaccia, in mancanza di accordo, di tenere Elezioni europee, che ambedue i partiti, ma soprattutto i Conservatori, temono come la peste. Va detto che nelle circostanze attuali queste elezioni in Gran Bretagna non avrebbero nessun senso: a che serve eleggere deputati che poi dovranno cessare dalle loro funzioni al momento dell’uscita? Tra l’altro, la cosa non piace molto neppure ad alcuni governi europei, che temono che gli inglesi mandino a Strasburgo in maggioranza rappresentanti della destra, che altererebbero gli equilibri attuali e quelli sperati.
Vi è la speranza che il dialogo aperto tra Governo e Opposizione dia un risultato? La May se ne è servita per giustificare la richiesta di rinvio e continua a dichiararsi ottimista. In realtà, gli ostacoli a un’intesa sono ancora irrisolti; i Laburisti chiedono un’unione doganale con l’Europa, che i conservatori non vogliono; inoltre, una parte del partito esige che Corbyn mantenga ferma la richiesta di un referendum confermativo di qualsiasi intesa. Un compromesso è sempre possibile ma, quale che esso sia, rischia di spaccare all’interno i due partiti.
In sostanza, ogni soluzione è possibile, dal No-deal alla revoca del Brexit (passando in questo caso, abbastanza improbabile, attraverso un voto popolare) e qualsiasi previsione è impossibile nello stato confusionale in cui si trovano Governo, Parlamento e partiti, con una Prima Ministra debole non più in controllo del suo Partito e del suo Gabinetto, che resta in sella solo per ostinazione e perché molti temono il peggio dopo di lei.
Auguriamoci che questo tormentone trovi alla fine uno sbocco di buon senso. Personalmente non credo che convenga all’Europa che la Gran Bretagna ci ripensi e resti nell’Unione, con lo spirito di insopportabile gingoismo che regna in quel Paese. Tra l’altro, vi è l’incognita di chi succederà alla May a Downing Street. C’è la possibilità molto seria che sia un esponente della destra del Partito, antieuropeo molto di più dell’infelice signora, e non penso che a nessuno convenga averlo dentro a fare da cavallo di Troia. È invece sperabile che, alla fine, si stabilisca tra UE e UK un rapporto di mutua convenienza, senza stati d’animo e senza privilegi, come l’Unione ne ha con tanti altri Paesi (il modello più vicino è la Norvegia). E lasciamo gli inglesi coltivare in pace il loro sogno di isolata grandezza, l’illusione di potere (come ha scritto tempo fa John Le Carrè) giocare ancora un gioco mondiale, mentre non sono più, da tempo ormai, un giocatore di quel livello.
Una chiosa. In questa vicenda si sono sentite le voci di Macron, della Merkel, del Presidente Tusk, di Barnier, di Juncker, del Primo Ministro olandese, di quello belga, ma non mi è parso di notare alcuna voce italiana. E le parti si sono delineate con chiarezza: il Presidente francese su una linea di impaziente fermezza, diretta, non senza merito e ragione, a proteggere gli interessi del progetto europeo che egli da tempo si propone di rilanciare, Tusk e la Cancelliera tedesca più accomodanti e realisti. E l’Italia? La signora May si è rivolta a Macron e alla Merkel, ha mai pensato di parlare con Conte? Non è sciovinismo chiedersi: ma davvero questa vicenda non ci riguarda? O contiamo così poco?
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