Il caso Assange
Julian Assange è l’australiano fondatore di Wikileaks, la rete online che ha diffuso devastanti informazioni su attività segrete di vari governi, a cominciare da quello americano, con conseguenze serie sulla sicurezza e sulle relazioni internazionali, anche tra alleati. Le sue fonti principali erano Chelsea Manning ed Edward Snowden, funzionari di agenzie di sicurezza americane. Fu in particolare Snowden (che ora da tempo vive a Mosca sotto la protezione di Putin) a rivelare che la NSA americana aveva messo in atto un gigantesco sistema di ascolto che includeva paesi ostili e alleati e gli stessi Statui Uniti, cosa che a suo tempo provocò reazioni francesi e tedesche e causò non poco imbarazzo a Obama.
Nel 2012, mentre Assange viveva a Londra, la Svezia chiese la sua estradizione per presunti reati sessuali, ma lui sfuggì all’arresto disposto dall’Autorità giudiziaria britannica rifugiandosi nell’Ambasciata dell’Ecuador, un paese retto a quell’epoca da un populista di sinistra, Correa, nemico degli Stati Uniti. Ci è rimasto per sette anni, poi le cose sono cambiate: il nuovo Presidente ecuadoriano, Lenin Moreno, un moderato (malgrado il nome di battesimo), ha deciso di ritirare l’asilo diplomatico concessogli. Ha giustificato la decisione dichiarando che Assange aveva gravemente violato le norme basiche dell’ospitalità, tenendo un comportamento irrispettoso e aggressivo e proseguendo le sue attività informatiche. La polizia inglese ha dunque potuto arrestarlo. Ora deve affrontare vari problemi giudiziari, oltre alla vecchia richiesta svedese: un processo in Gran Bretagna per essersi sottratto nel 2012 all’arresto e, soprattutto, una possibile estradizione e processo negli Stati Uniti. In passato, l’Amministrazione Obama aveva rinunciato a perseguirlo, ritenendo difficile superare le norme del Primo emendamento costituzionale americano che prescrivono la libertà di stampa e di espressione. Si era invece concentrata nel perseguire le fonti delle rivelazioni, persone per lo più tenute per professione al segreto e quindi vulnerabili all’accusa di attentato alla sicurezza nazionale. L’Amministrazione Trump ha infatti cambiato linea, decidendo di perseguire direttamente Assange, che rischia una pena di almeno cinque anni di carcere.
La personalità di Julian Assange è estremamente controversa, difesa e vilipesa con eguale violenza. Difensore della verità e della libertà di espressione o spia? (Non va dimenticato che la campagna dii Wikileaks contro Hillary Clinton si fondava in buona parte su fonti russe). È comunque certo che col tempo, il fondatore di Wikileaks è diventato un personaggio imprevedibile, scomodo, esaltato e, come ha notato un giudice inglese, “narcisistico”. Ha resistito con grida e minacce all’arresto a Londra ed è ovvio che continuerà ad agitarsi.
Quello che si avvia adesso, o perlomeno nel risvolto americano, è un percorso contrastato. Il sistema giudiziario USA è molto formale e legalistico, e nel caso Assange si affrontano due principi egualmente pesanti: la libertà di stampa (con il connesso diritto dei cittadini a sapere quello che fa il governo) e l’elementare dovere di protezione dei segreti che hanno tratto alla sicurezza nazionale. Personalmente, per formazione professionale, penso che il secondo prevalga, almeno quando sono in gioco segreti militari (li ha compromessi Wikileaks?). E un personaggio come Assange, narcisistico, autopromossosi a difensore del bene e in realtà senza scrupoli, mi suscita diffidenza e riprovazione. Ma quella che si apre è con grande probabilità una lunga e spettacolare battaglia legale, che quasi inevitabilmente finirà alla Corte Suprema degli Stati Uniti.
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