Il lavoro al tempo di Internet

Microsoft, Apple, Amazon, Google, Facebook, Alibaba che cosa hanno in comune oltre ad avere tutte fatturati miliardari? Sono tutte giovanissime: la più “vecchia”, la Microsoft di Bill Gates, non ha ancora compiuto cinquant’anni. Queste aziende hanno tutte contribuito a cambiare la faccia del mondo in pochissimo tempo, forse a dimostrazione di come il progresso tecnologico e la velocità dei mercati, delle reti, delle comunicazioni, impongano oggi di essere tutti pronti ad adeguarsi costantemente a nuovi schemi ed essere pronti a cambiare costantemente il nostro modo non solo di vivere, ma anche forse di essere e, probabilmente di lavorare. Quali saranno le prossime frontiere del lavoro? Facebook sarà soppiantato da altri social?

Sono cambiati in meno di venti anni anche gli strumenti di lavoro: l’esempio più evidente è il Floppy-Disk: il primo supporto esterno di memoria dei computer è oggi preistoria; anche molti lavori del passato sono ricordi in bianco e nero. Le dattilografe sono scomparse come il sensale di matrimoni; altre figure di lavoro sono sempre più di nicchia e esercitate da sempre meno artigiani: il calzolaio e l’arrotino. Oggi si va verso nuovi lavori che non esistevano né potevano esistere in passato o forse esistevano sotto mentite spoglie ed oggi sono stati reinventati.

Copywriter, community manager, marketer, data analyst, web designer, sono lavori che nascono con internet; i menthal coach, i promoter finanziari, i personal trainer, i wedding planner sono solo alcune delle nuove professioni che sono richieste dal mercato o che se ne devono ritagliare una fetta. Oggi incontriamo anche il consulente di bellezza e benessere (bellessere), chi insegna ad avere un miglio rapporto con il denaro e poi figure che possono lasciare perplessi quando si manifestano nelle loro forme e conseguenze estreme. Indispensabile comunque porsi il problema se queste figure esisteranno ancora tra dieci anni o se si evolveranno in altri schemi totalmente diversi

È infatti diventato un ambito lavoro quello semplicemente di apparire, di farsi vedere, mostrarsi in pubblico. Hanno iniziato gli opinionisti dei programmi televisivi che, saltellando da una sedia all’altra di show e salotti, potevano esibirsi, o essere esibiti, come tuttologi su ogni argomento dello scibile umano, preferibilmente però adatti ad un pubblico dal facile palato a cui non potevano essere proposti programmi dal contenuto più impegnativo. C’è chi iniziando in questo modo, magari basandosi solo sull’insultare chi osava pensarla diversamente, ha avviato una carriera politica.

Grande impulso alla categoria degli opinionisti è stato poi dato da coloro che, partecipando ad un reality show si sono poi costruiti importanti carriere sempre basate sul presenzialismo; presenzialismo che può essere anche quello degli eventi mondani che si aggiunge a quello immancabile televisivo e a quello sui social.

La seconda fase dell’opinionista è stata infatti quella del blogger; un lavoro che, se ben svolto, può portare risultati decisamente invidiabili: Beppe Grillo e Chiara Ferragni ne sono prova evidente e incontestabile. Un lavoro che può dare grandi risultati e soddisfazioni se si pensa alla blogger americana che, in diretta YouTube, ha pianto e si è lamentata per la chiusura del suo canale Instagram. Inconcepibile per lei l’idea di trovarsi un lavoro che fosse diverso da quello di parlare ad una webcam ed essere seguita dai suoi follower.

Deve essere lo stesso pensiero che è passato, e sembra rimasto, nella mente del ragazzo che si è incatenato fuori dai cartelli di Cinecittà perché scartato dai casting del Grande Fratello dopo ben, a suo dire, di dieci anni di provini. La società dell’apparenza ha generato due tragedie umane che, forse, per i loro protagonisti sono diventate lo strumento e l’occasione per ottenere quella visibilità che in altri modi era stata loro negata.

Queste due storie si vuole sperare che siano solo casi limite, ma viene il dubbio che possano essere solo le punte di un iceberg e che rappresentino una nuova frontiera forse non del volere il successo, ma cercare una qualsiasi forma di successo per strade apparentemente semplici ma che, in realtà, non solo sono difficili da percorrere ma che possono causare anche vittime.

Emblematico il caso della blogger che, senza esperienze lavorative, rifiuta anche solo l’idea di un lavoro che sarebbe da chiunque definito normale; il ragazzo incatenato ha almeno detto che lavora, salvo poi ribadire che avrebbe ancora tentato altri provini per la carriera televisiva.

In ogni caso sorgono spontanee considerazioni da un lato verso quale direzione stia andando il mondo del lavoro, sicuramente diverso da quello del passato, ma dall’altro ci dobbiamo chiedere se oggi si confonda l’idea di un lavoro con qualcosa che lavoro non è ma solo uno specchio momentaneo che riflette un momento sociale. Non è facile pensare che cercare ad ogni costo il proprio momento di visibilità e da quello intraprendere una carriera sia la stessa cosa del riuscire a sfondare come attore, cantante o ballerino. Loro hanno una professionalità.

Viene piuttosto da riflettere su come la generazione millennial e digital born debba affrontare gli inevitabili progressi che renderanno a breve obsoleta la realtà, specialmente quella virtuale, su cui fondano la loro vita. Probabilmente le generazioni passate che vivono l’epoca digitale con maggiore consapevolezza, avendo assistito alla sua nascita in maniera scettica, ed in maniera preoccupata il suo evolversi, hanno gli strumenti e le competenze per adattarsi meglio ai nuovi contesti. Anche in internet prevale il concetto darwiniano che la specie che può sopravvivere non è quella più forte, ma quella che saprà adattarsi ai cambiamenti.

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