Mediazione, a misura di mediatore

Nella tradizione anglosassone americana, si parla di modello di ADR (Alternative Dispute Resolution) “puro” in quanto viene preclusa la possibilità, successiva alla mediazione, di rivolgersi al sistema ordinario (processuale) di risoluzione delle controversie, invece, il d.lgs 28/2010 non esclude la possibilità di ricorrere, successivamente alla fase della mediazione, alla giustizia ordinaria. Pertanto, non è stato semplice trapiantare un modello procedimentale sviluppato in un contesto strutturale e culturale radicalmente diverso dal nostro. La mediazione è stata introdotta con il Decreto Legislativo del 4 marzo 2010 n. 28, la  Corte Costituzionale ha  eliminato la mediazione,  ma il legislatore del 2013 ha deciso di riproporre l’istituto, (prima con il Decreto Legge 21 giugno 2013 n. 69 convertito in Legge del 9 agosto del 2013 n. 98) apportando delle modifiche che hanno lo scopo di eliminare alcune distorsioni presenti nella pregressa normativa.

L’introduzione della mediazione obbligatoria è dovuta all’esigenza dello Stato di ridurre i tempi dei processi. L’obbligo sarà pertanto in vigore per quattro anni con un’analisi dei dati alla scadenza del biennio, quando il Ministero della Giustizia dovrà esaminarne i risultati e le criticità emerse. Appena entrò in vigore la legge (marzo 2011) la mediazione (il titolo di mediatore) veniva “spacciato” o “venduto” come un mezzo per ottenere una fonte di guadagno e di reddito, i destinatari di questo messaggio erano tutti quei soggetti che (giovani o meno) cercavano un piccolo reddito ed erano pronti a spendere per un corso di formazione. Ottenuto il titolo di mediatore, il povero mediatore scopriva che tale titolo a nulla serviva, perché anche se la legge prevede (anche oggi) che per diventare mediatore è sufficiente svolgere un corso di 50 ore (con esame finale di 4 ore), a cui possono partecipare tutti coloro che hanno una (qualsiasi) laurea triennale o siano iscritti ad un albo professionale, in nessun modo l’ente di mediazione in presenza di così bassi o scarsi livelli di preparazione  giuridica avrebbe affidato ad un mediatore (es. laureato in lingue arabe) una mediazione in materia di servitù o un legato in sostituzione di legittima (o altra materia obbligatoria) la quale richiede un’alta specializzazione giuridica.

Per cui, l’attribuzione all’avvocato del titolo di mediatore di diritto permette di eliminare la favola secondo la quale il mediatore non deve avere conoscenze giuridiche e tenta di impedire la formazione dei mediatori come mera occasione di guadagno. Certo, sarebbe interessante chiedersi cosa ne pensano ora tutti coloro che hanno pagato un corso per ottenere il titolo di mediatore e che pur iscritti ad un ente di mediazione non hanno mai svolto (e mai svolgeranno) nessuna mediazione. La legge avrebbe dovuto  imporre, per il conseguimento del titolo di mediatore, specifici requisiti e conoscenze, soprattutto giuridiche.

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