Brasile, tribù autoctone contro il Governo
La settimana scorsa, centinaia di indigeni si sono recati presso il Congresso di Brasilia, ma non hanno ricevuto che un’accoglienza sottotono. Il loro obiettivo è quello di far prevalere le loro rivendicazioni sul diritto alla terra, contro l’espansione delle attività minerarie e agricole.
Sono più di 900.000 in Brasile, ma hanno ancora molte difficoltà nel far valere i loro diritti e proteggere la foresta amazzonica. Una situazione che è peggiorata da quando Jair Bolsonaro è arrivato al potere. Gli autoctoni, come ogni anno dal 2004, occupano per più giorni il centro della capitale Brasilia. All’origine di questa iniziativa, l’ONG Insediamento della terra libera (ATL) che denuncia la distruzione dell’habitat storico degli indigeni. Ma giovedì 25 Aprile, le centinaia di nativi ricevuti al Congresso di Brasilia hanno ricevuto un’accoglienza molto al di sotto delle aspettative, laddove pochi parlamentari erano presenti per ascoltare le loro rivendicazioni. Organizzato ormai da 15 anni, questo appuntamento non è una novità, ma quello di quest’anno ha uno spessore diverso perché le conseguenze delle politiche poco ambientaliste di Bolsonaro sono già visibili. Secondo l’ONG Imazon, la deforestazione in Amazzonia sarebbe aumentata del 54% in un solo anno.
L’arrivo di Jair Bolsonaro al potere ha riacceso profonde tensioni comunitarie. Il diritto degli indigeni è codificato nella Costituzione brasiliana. 566 terre delimitate dal Governo, ossia il 13% del territorio nazionale , spettano ai nativi. Ma sono sempre più minacciate dall’espansione dell’agricoltura, le estrazioni minerarie e la deforestazione illegale. Inoltre, diverse ONG e associazioni denunciano il moltiplicarsi delle invasioni delle terre indigene da quando si è insediato il Governo Bolsonaro. Durante la sua campagna, il nuovo capo di Stato aveva affermato che non avrebbe ceduto “un centimetro in più” agli autoctoni. Per Tatji Arara, capo indigeno brasiliano, intervistato dall’agenzia francese AFP, il Presidente è una vera minaccia: “Bolsonaro ha avvelenato la mente del popolo, molte persone pensano che prenderà le nostre terre, ma non lo lasceremo fare”. Per gli indigeni, il vaso è pieno e manca poco perché trabocchi. “Se il disboscamento illegale continua, i nostri guerrieri prenderanno i loro archi e le loro frecce, potrebbero esserci dei morti”, dichiara Arara. La posta in gioco più importante di questo scontro: la foresta amazzonica, principale tesoro del Paese.
Con più di 493 milioni di ettari, il Brasile possiede la seconda superficie boschiva del pianeta. Da 40 anni, il Brasile tenta di limitare i danni a questo bene prezioso. Nato nel 1988, il Programma di controllo satellitare della deforestazione in Amazzonia (Prodes) aveva come obbiettivo conoscere lo stato della foresta e sorvegliare così la scomparsa dell’Amazzonia. Ma 30 anni dopo, nessuna soluzione sembra essere stata trovata per preservarla. Un rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ha dimostrato che tra il 2010 e il 2015, il Brasile è il Paese che ha perso la maggior quantità di superficie boschiva. E le notizie politiche non sembrano andare in direzione del miglioramento. Il Governo attuale sembra voler annullare le restrizioni esistenti per quanto riguarda l’estrazione del legno in Amazzonia brasiliana. Pochi mesi fa, durante un incontro in Canada con alcuni grandi imprenditori del settore minerario, il Ministro brasiliano delle Miniere e dell’Energia, Bento Albuquerque, ha lasciato trapelare che il Brasile potrebbe mettere fine alle restrizioni, che secondo lui “incoraggiano le attività illegali”. Questa risorsa naturale si trasforma in mercato prolifico.
Sempre più angoli di foresta si trasformano in cimiteri vegetali. Su centinaia di ettari, campi di tronchi hanno preso il posto delle alte chiome. E per un buon motivo. I trafficanti di legno hanno preso possesso dei luoghi. Particolarmente resistente, questo legno esotico seduce i clienti europei e nordamericani. Vittime della loro qualità, gli alberi amazzonici finiscono la loro vita trasformati in parquet o in mobili da giardino. Nel 2018, Greenpeace pubblica un rapporto nel quale sottolineano la responsabilità di numerose imprese ai fini della sopravvivenza del traffico del legno. Sono 37 le società di tutto il mondo citate come principali clienti degli esportatori brasiliani. Pur non tenendo in mano la sega, queste imprese partecipano alla normalizzazione di una pratica illegale. Greenpeace mette anche in risalto un sistema di riciclaggio che permetterebbe di distruggere in maggiore quantità la zona boschiva. E questo in tutta tranquillità.
Per gli indigeni, più che mai è tempo di reagire. Ogni minuto, in Amazzoni più di 800 alberi vengono tagliati.
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