Il nuovo mondo del lavoro
Il lavoro che svolgiamo oggi, esisteva dieci anni fa? E, ammesso che esistesse, era lo stesso di oggi? Tra cinque anni, il nostro lavoro potrà essere ancora effettuato con le stesse modalità, sistemi e strumenti di oggi o sarà completamente diverso?
Tra le società e multinazionali che oggi dominano il mercato delle nuove tecnologie, solo la Microsoft di Bill Gates, non ha ancora compiuto cinquant’anni. Esisteranno ancora tra venti anni? In quante riusciranno a superare il secolo di vita? O anche solo i cinquant’anni? Se vogliono farlo dovranno adattarsi alle leggi della natura e ad un concetto, attribuito alle teorie darwiniane secondo le quali non è il più forte il più intelligente a sopravvivere, ma il più aperto al cambiamento. E alcune di queste aziende, poco più che maggiorenni, figlie di una tecnologia decisamente in rapida e costante evoluzione, sembra che prendano alla lettera l’insegnamento e, oltretutto, si pongono come leader nella direzione di questo cambiamento, potendo programmare il futuro.
Tutto ciò è il frutto della rivoluzione digitale, l’ultima vera rivoluzione dopo quella industriale e quella del neolitico, quando l’uomo iniziò a lavorare i metalli. Il processo è irreversibile. Non solo non siamo più in grado di fare a meno di computer, cellulari, connessioni h24, ma usiamo sempre più questi strumenti per ogni piccolo gesto quotidiano. Dalla spesa alla prenotazione di un viaggio; dal pagamento di una bolletta fino al noleggio di una macchina, al rinnovo di un documento e, a breve, per ogni pagamento. È l’Internet of Things. Non torneremo indietro.
Tutto ciò si è ripercosso su ogni aspetto sociale, dalle relazioni personali, sempre più virtuali e meno reali, fino agli aspetti giuridici che non sono soltanto la privacy e la protezione dei dati personali, ma anche la nascita di nuove e diverse figure di lavoratori che, necessariamente devono adattarsi ai nuovi schemi aziendali, della produzione e del commercio, che non solo devono avere caratteristiche professionali peculiari, ma avere anche i necessari inquadramenti contrattuali e normativi.
Nella App Economy, i lavoratori devono non solo essere in grado di usare un cellulare e padroneggiare la tecnologia, ma anche sapere che le app cambiano ogni giorno sulla base delle richieste di mercato. Un cellulare di dieci anni fa, è quasi inutilizzabile.
In Italia, in questo e forse non solo, siamo ancora ad un’età antecedente il neolitico e i nostri politici e sindacati si caratterizzano per una assoluta cecità nell’affrontare queste nuove situazioni e, attaccandosi a luoghi comuni ormai obsoleti, insistono a difendere posizioni ormai fuori dal tempo, legate a concetti imprenditoriali non più al passo con i tempi e destinati a sparire.
Il nuovo mondo del lavoro esige e impone che i lavoratori si adeguino alle esigenze delle aziende e stiano al passo con le stesse e, insieme a loro, ne assumano i rischi, seguendole nel cambiamento o morendo con loro. Quanti oggetti del passato non vengono più fabbricati e, di conseguenza, i loro lavoratori, anche come categoria professionale, non esistono più? E non parliamo solo dei floppy disk o delle cassette VHS, delle audiocassette o delle macchine da scrivere. Pensiamo alla carta per stampare fotografie, ma anche alle componenti di un’auto e ci rendiamo conto che sono le stesse quantomeno nelle loro strutture, ma i materiali e ovviamente i macchinari per la produzione, non sono più gli stessi.
In passato, quando un ragazzo era particolarmente svogliato o incapace a scuola lo si minacciava di mandarlo a fare l’elettricista o l’idraulico. Oggi queste sono professioni decisamente qualificate e che richiedono titoli e aggiornamenti per poter certificare impianti. Anche una parrucchiera oggi deve avere nozioni di chimica e anatomia che vanno ben oltre quelle elementari che si insegnano a scuola.
In tutto ciò, politici e sindacati sembra non vogliano rendersi conto del cambiamento e si sono fossilizzati sula tutela di posizioni adatte al vecchio tipo di lavoro in fabbrica, con orari su turni e stabilità fino all’età pensionabile.
La forzata ricerca della tutela – come se fosse un lavoro per la vita – dei cosiddetti rider è probabilmente lo specchio più fedele di questo atteggiamento nel quale si cerca di creare basi di stabilizzazione di un lavoro che è l’emblema della precarietà. Negli Stati Uniti l’immagine del ragazzino che consegna in bicicletta i giornali, o in alcune realtà come, ad esempio, Panama, il giovane che aiuta a portare la spesa al supermercato, dopo averla imbustata, sono figure di un diverso approccio all’economia e al mondo del lavoro impraticabili da noi dove anche l’alternanza scuola lavoro è stata immediatamente bollata come forma di sfruttamento. Come reagirebbero i nostri sindacati, e altri movimenti o associazioni, se volesse sbarcare in Italia la catena di ristoranti Hooters che tanto successo ha oltreoceano?
Fermo restando che, in ogni caso, i lavoratori devono essere tutelati, il legislatore e le organizzazioni sindacali dovrebbero prendere atto che il mondo del lavoro non può essere cristallizzato in tutele che, alla fine, vadano a danneggiare le imprese e il loro sviluppo.
Semplicemente è necessario prendere atto che, come avviene già in alcune realtà, quali ad esempio l’Oriente, nasceranno, insieme a nuove tipologie di lavori, nuove modalità di approccio agli stessi che saranno caratterizzate da una instabilità delle posizioni che, necessariamente e opportunamente, dovrebbero andare ad evolversi. Ecco che i lavori della cosiddetta Gig Economy ben potrebbe diventare uno strumento anche di sviluppo e crescita sia sociale, sia economica. Lavori quali quelli di rider, addetti alle vendite, impiegati entry level, potrebbero diventare delle basi per permettere ai giovani di affiancare un percorso di studio, magari proprio restando all’interno delle aziende stesse, che potrebbero godere di agevolazioni in tal senso. L’esatto contrario della tipica mentalità che caratterizza il sistema e porta ad identificare il diritto al lavoro come pretesa a “quel” posto di lavoro cui restare fedeli e attaccati fino alla pensione. Esattamente come accadeva nel periodo, qui purtroppo mai finito, in cui si rincorreva un “pezzo di carta” per avere un posto sicuro. Esattamente l’esatto contrario di quello che è l’andamento economico, tecnologico, sociale verso cui va il resto del mondo.
Il rischio è che le future generazioni, oltre che ad un mondo più inquinato, ereditino anche un mondo del lavoro imbalsamato e che non permetterà loro di reggere l’impatto con giovani provenienti da altre realtà e che siano più disponibili al cambiamento.
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