Deutsche Bank e i conti personali di Trump
Il Presidente americano Donald Trump ha deciso di citare in giudizio la Deutsche Bank per impedirle di collaborare con il Congresso. Per 20 anni, la banca tedesca è stata il principale finanziatore dell’impero Trump.
E’ fuori discussione. Il Presidente americano Donald Trump non ha nessuna voglia che Deutsche Bank riveli i suoi piccoli segreti finanziari. Per questo, lo scorso 24 Aprile si è associato ai suoi tre figli per avviare dei procedimenti legali contro il gigante bancario tedesco per impedirgli di consegnare dei documenti al Congresso. Il 15 Aprile, la Camera dei rappresentanti, a maggioranza democratica, aveva inviato un mandato di comparizione alla banca tedesca, nel quadro dell’inchiesta parlamentare sui conti dell’impero immobiliare Trump e sull’ingerenza russa durante la campagna per le presidenziali americane del 2016. I deputati hanno agito nello stesso modo nei confronti di altri istituti finanziari come JP Morgan, Capital One Bank, Bank of America e Citigroup. Ma è l’interessamento per Deutsche Bank ad infastidire in modo particolare il Presidente americano. “Questi mandati di comparizione hanno come unico obbiettivo quello di molestare Donald Trump, di frugare negli angoli più reconditi dei conti, degli affari e delle informazioni più personali del Presidente e della sua famiglia (…). La loro unica ragion d’essere è politica”, hanno sottolineato gli avvocati della Trump Organisation.
Da 20 anni, la banca tedesca appoggia finanziariamente il magnate del settore immobiliare contro venti, maree e sfortune economiche, recuperando poi succosi interessi sui prestiti accordati. Secondo i calcoli del Wall Street Journal, l’istituto bancario gli avrebbe concesso più di 2,5 miliardi di dollari nel corso degli anni, quando la maggior parte delle banche americane si rifiutava di fare affari con un imprenditore che era fallito più volte e le cui prese di posizione diventavano sempre più controverse mano a mano che le sue velleità politiche prendevano forma. La relazione tra la Deutsche Bank e Donald Trump inizia nel 1998 con l’incontro di due distinte aspirazioni. Quella del miliardario, desideroso di provare che la sua leggendaria “art of the deal” (“l’arte della negoziazione”, titolo del suo libro faro) era sopravvissuta a due fallimenti, nel 1991 e nel 1994. E quella della banca tedesca che negli anni ’90 cercava di “farsi un nome a Wall Street”, ricorda il New York Times.
Per riuscirci, il gigante di Francoforte decide di assumersi dei rischi. La banca assume dei traders di Goldman Sachs che assegna alla divisione delle attività immobiliari. E’ uno di loro, Mike Offit, che accetterà per primo di prestare 125 milioni di dollari a Donald Trump per ristrutturare la torre che il magnate possiede a Manhattan. L’uomo di affari rivela essere un cliente in perpetua ricerca di denaro. Chiede 300 milioni di dollari per costruire una torre di fronte alla sede dell’Unesco, e decine di ulteriori milioni per un nuovo casinò ad Atlantic City. Nel 2005, la Deutsche Bank accetta di prestargli altri 500 milioni di dollari per la costruzione di un grattacielo di lusso a Chicago. Ma i banchieri tedeschi non tarderanno a pentirsene. Donald Trump ha in effetti serie difficoltà nel vendere quegli appartamenti e la crisi finanziaria del 2008 non aiuta a risolvere i suoi problemi. Si ritrova così dell’impossibilità di saldare una rata da 338 milioni di dollari, riporta il Wall Street Journal.
Il miliardario decide allora di contrattaccare. Cita in giudizio la Deutsche Bank affermando che la crisi finanziaria era classificabile come “ evento di forza maggiore” e che questo lo avrebbe dispensato dal pagare un solo centesimo. Anzi, chiede alla banca tedesca 3 miliardi di dollari come premio perché ritiene l’istituto in parte responsabile della crisi dei subprime. Colta di sorpresa, la banca cita, a sua volta, Donald Trump in giudizio per recuperare 40 milioni di dollari e la divisione del settore immobiliare della Deutsche Bank, che si occupava degli affari del magnate, decide di smettere di pagare. Ma questo problemino giudiziario non scoraggia tutti all’interno della Deutsche Bank. Dopo la firma, nel 2010, di un accordo amichevole tra la banca e Donald Trump, il magnate diventa cliente della discreta divisione di gestione dei patrimoni finanziari della Deutsche Bank. Tra il 2010 e il 2016, l’uomo di affari ha così continuato a prendere in prestito più di un miliardo di dollari per comprare una squadra di football americano, costruire un albergo di lusso a Washington e… restituire parte del suo debito alla Deutsche Bank.
Bisognerà attendere il 2016 affinché la direzione della banca tedesca cambi atteggiamento. In una lunga inchiesta pubblicata nel Marzo del 2018, il New York Times rivela che negli uffici della banca, “gli impiegati non potevano più pronunciare il nome di ‘Trump’ nelle loro comunicazioni con l’esterno” per evitare di attirare l’attenzione sulla lunga relazione intrattenuta con un miliardario diventato nel frattempo un presidente controverso. Troppo tardi. Questo legame non è sfuggito al procuratore speciale Robert Mueller, che ha investigato per più di due anni sulle relazioni tra la squadra della campagna elettorale di Donald Trump e la Russia. A tal riguardo, ha interrogato diversi funzionari della banca tedesca. I democratici sarebbero, dal canto loro, troppo felici di mettere le mani su tutti i documenti finanziari che la Deutsche Bank avrebbe raccolto nel corso degli anni che hanno caratterizzato questa lunga e travagliata relazione.
©Futuro Europa® Le immagini utilizzate sono tratte da Internet e valutate di pubblico dominio: per segnalarne l’eventuale uso improprio scrivere alla Redazione